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al testo di Ivan Vito Ferrari
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Più volte volgo, volto lo sguardo oltre il confine, verso la direzione del vento, tra gli aquiloni del cielo e il rumore delle onde, guardando il riflesso dell’uomo che fui, che è stato, un mero ricordo del passato. Lemme lemme l’orizzonte si va scuro, la spuma si fa neve al sole, lo scrosciare galoppa velocemente le ore consumate assiduamente, svestite in tutta fretta, frastornando la notte ch’io passai con tanta pieta. Giunsero con gote rosse verso la brughiera, con ardore e prepotenza bussarono alla mia porta, portando non una lacrima con sé, non un loro pianto, ma dondolando la culla del loro canto, un canto che non fa rumore, non fa colore, non fa odore. I teneri infanti, aprirono la voglia a mani dure, senza smettere mai di sognare, toccano i bisogni dell'anima nella curva del sorriso, ascoltando la palla infuocata del loro primo amore. Un loro fremito danzante fiaccola di qua, di là, sotto gli occhi del cielo e le carezza del vento, un vento buono che suona per loro, sottovoce, svegliando la terra incantata, lasciata lì sul momento, in tutta fretta… si rapprese portando in grembo la voglia di sorridere nuovamente. Il mio cuore si rallegrò, incastrato tra l’acquerugiola e il bianco spinto odoroso, vedendo più volte, volgo il mio volto!
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