LaRecherche.it
Scrivi un commento
al testo di Vincenzo Corsaro
|
|||||||||||
Nell'ora più buia della notte la mia anima lasciò la sua casa, per compagna una vuota bisaccia di solitudine.
Si diresse verso il lago del silenzio, si spogliò delle illusioni e sedette sulle sue rive.
La pelle striata da scudisciate non sentiva più dolore, si era ormai arresa al buio che avanzava e si preparava all'ondata di nero che l'avrebbe avvolta.
Mille e mille volte era morta e rinata, e ancora sarebbe morta e rinata nei mondi dell'incertezza, dove ogni attimo dilata all'infinito solitudine e smarrimento, dove il nero di quel buio diventa così accogliente e la luce non ha motivo di esistere.
Vide il fuoco sorgere dalle acque e una voglia improvvisa s'impossessò di lei.
Sulle punte delle fiamme della solitudine, volteggiò in balli tribali come un'anima primitiva in cerca della luce che aveva smarrito, di se stessa e della sua compagna.
Seguì i passi di luce dei desideri quasi spenti, vi soffiò dentro, ciò bastò ai suoi sogni per sentirne il respiro, e all'infinito che era ancora viva.
Pezzi di paradiso caddero in quel luogo squarciandone il nero inchiostro, i venti del nord fecero il loro ingresso e lei danzò coi colori delle aurore sui sacri fuochi di quel paradiso in fiamme.
Lingue di luce e amore si sostituirono alle fiamme, i colori delle aurore sfumarono nel bianco e partorirono la sua anima gemella, si unì a lei in un abbraccio infinito, anima nell'anima.
I desideri che avevano camminato nel cielo li adagiarono su fioriti prati seminati con la passione spontanea dell'anima,
il loro possedersi trasformò il bianco in rosa e poi in rosso porpora, il colore dell'unione dei sensi.
Su loro piovvero gocce di rugiada, s'incantarono a guardare la pioggia ed ascoltarla, era il fluire dell'eternità che li chiamava con le sue gocce d'infinito. |
|