Non poteva che vincere lui, perché nel gioco crudele dell’amore vince sempre chi ama sopra ogni altro sé stesso.
Amore, poi!
Perché scomodare la parola amore:
non di amore, dovrei parlare, ma di gioco di potere,
perché a null’altro che a questo si è ridotto oggi l’amore.
E la vittima non merita maggior indulgenza del carnefice,
non è che una stolta pedina
che si lascia intrappolare in un gioco sterile.
Arde e si consuma forse per le virtù
del suo oggetto d’amore?
Si innamora forse dei meriti altrui?
No, ho visto fin troppi uomini
citati come modelli di saggezza
dannarsi l’anima per donne ottuse!
Per donne vane, capricciose, egoiste,
incapaci di slanci e grandi passioni.
Lo stesso vale per noi,
che quasi sempre disprezziamo gli uomini
dall’animo nobile
e ci perdiamo dietro a bellimbusti
innamorati solo di sé stessi.
Così, io non ebbi abbastanza giudizio
da allontanarmi in tempo,
quando colsi i primi segni della superficialità
dei suoi sentimenti.
Dentro di me, nel profondo, sapevo da sempre
che non avrei dovuto fidarmi di lui,
ma non volevo crederci.
Non potevo figurarmi un cambiamento tanto radicale.
Non potevo immaginare
che le parole si potessero pronunciare con tanta leggerezza,
né che i gesti potessero essere tanto vuoti di significato.
[ La poesia qui proposta è un libero adattamento in versi della scrittura in prosa tratta da Memorie di un’avventuriera, Emanuela Monti, Il ramo e la foglia edizioni, pag. 16 ]