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Collana di eBook a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani

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eBook n. 179 :: Scritti echi, di Marco Furia
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Di Marco Furia
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Data di pubblicazione:
14/04/2015 12:00:00


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Notizie sull'eBook

Alcuni testi segnalati da Francesco Marotta su: La dimora del tempo sospeso

Ne parla Giovanni Infelíse su Perìgeion: La poesia dell'eco

 

 

# 9 commenti a questo e-book [ scrivi il tuo commento ]

 Marco Furia - 31/01/2017 16:31:00 [ leggi altri commenti di Marco Furia » ]

Grazie ancora a tutti!

 viviane ciampi - 30/01/2017 22:31:00 [ leggi altri commenti di viviane ciampi » ]

Ecco un libro d’esperienza scritto da un uomo-orchestra che dona qui, in vari registri, la sua passione per la parola e per la vita. Tra i suoi strumenti preferiti si potrebbe immaginare il pianoforte con i suoi pianissimo, fortissimo, andante con brio, eppure, man mano che leggiamo, ci viene in mente un film del ’60 di Peter Brook Moderato cantabile e in sottofondo l’ossessiva sonatina di Diabelli. E comunque vi sono le parole che si sostituiscono alle note e ne scaturiscono versi ellittici, mordaci, godibilissimi che sottolineano la dimensione cosmica – selvaggiamente cosmica – del poeta.
In Marco Furia rimane una conflagrazione comunicante creata da una scrittura sicuramente limpida ma alla quale la versificazione convulsa e appassionata, umbratile e sfavillante conferisce una dimensione particolare di siderazione. Tutta la trama si snoda tra una lingua semplice – ma lingua semplice non vuol dire semplicistica – e questa versificazione crea faglie, tremblement, volute, interstizi attraverso i quali il senso passa. In quanto ai colori sono tutti o quasi nominati nella sua “palette de peintre” in una sorta di dinastia dell’equilibrio. Perché, da sempre, l’equilibrio caratterizza l’opera di Marco Furia che fa sorgere il substrato del nutrimento terrestre e celeste. Possiamo supporre che il suo essere – oltre che poeta – anche raffinatissimo critico d’arte – di cui sarebbe interessante leggere l’interezza dei saggi – renda questo equilibrio ancora più evidente.
Questi versi ci parlano di pace interiore, di bellezza in senso platonico e quindi di coscienza cosmica: è un programma non da poco in questi giorni di tumulto. Vi si ritrova come la materia onirica del paese nativo un mondo che pareva lontano, che non riconosciamo nella sua interezza ma di cui interroghiamo le vallate i casolari abbandonati, le notti arruffate di stelle, i sentieri vicino a cui camminare nel buon senso, nel senso dell’acqua dei torrenti, con l’eco che si forma persino nei rigagnoli sotto i nostri passi. All’acqua o all’eterna canzone possiamo chiedere i nostri colori fondamentali, poiché prende i colori dell’erba verde che abbiamo calpestato, dei muretti dove abbiamo giocato, del ponticello che nascondeva tutte le nostre rêverie e a cui confidavamo i nostri segreti. La vertigine, gli echi, quel lungo serpente di metafore e aggettivi, altro non sono che il racconto dell’anima e il paesaggio dell’ipotetico paese era quello della stessa anima che si scuoteva nell’involucro.
In nessun momento il poeta perde la potenza delle immagini e avanza parlandoci della luce, dei colori come del desiderio e anche del desiderio di scoprire tra i mille echi, l’unica eco davvero insondabile che nasconde “La Voce”, fonte di vita. È come se questo geografo onirico dalla scansione così personale scrivesse in mezzo a un’isola perché sa che solo la poesia fonda e racconta, quando la parola ctonia incarna – nudi – l’atto e l’immagine.

 Marco Furia - 20/04/2015 16:44:00 [ leggi altri commenti di Marco Furia » ]

Ringrazio ancora per la penetrante attenzione
Marco Furia

 Eugenio Nastasi - 17/04/2015 18:42:00 [ leggi altri commenti di Eugenio Nastasi » ]

Inevitabile, nel leggere questo ebook di Marco Furia, cercare il bandolo della matassa, risucchiati come si viene dal suo gorgheggio di immagini, tese a rendere il suono dei versi liquida gibigiana, mutevole e luminosa e, naturalmente, canora nel quasi aereo precipitare o levarsi come i petrelli dall’onda con la preda appena acciuffata, sempre attento a non superare un discorso che per essere sottovoce rende in filigrana un pulviscolo di sensi e sovrasensi. A pag. 19 mi sembra, poi, che raggiunga pienamente la sua orbita, e lo sciabordio degli aggettivi esaltano, nel colloquio infinito dei simboli, una sorta di giovinezza della voce che è propria dell’evocazione o della memoria di immagini terrene, forse di occasioni in cui è o fu più avvertibile, la presenza.

 Franca Alaimo - 17/04/2015 00:45:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

E’ qualcosa di più di quello che appare questo testo di Marco Furia: lo si scorre come storditi da un ruscellare senza sosta di sintagmi e metafore spesso riproposti con mimime varianti, con quell’ossessività inebriante che mi ricorda il Bolero di Ravel. E si rimane meravigliati per quel fiorire incredibile di giochi verbali che ricordano la ridondanza barocca ma con la grazia dei ritorni gestuali di un minuetto settecentesco. Certo è che Marco Furia vuole soprattutto creare degli effetti squisitamente visivi nel descrivere luminescenze e barbaglii di cieli, di mari e di astri. Ma l’effetto più straniante è raggiunto nella rievocazione di suoni non uditi, come se siano immaginati da dietro i vetri di una finestra da chi ricorda come esattamente le cose, gli uccelli, le acque risuonino. Infatti, si tratta, come dice, il titolo di echi (mentali) che coincidono soltanto con i suoni delle parole scritte sul foglio che li evocano. E un’altra stranissima caratteristica di queste paesaggi fortemente cromatici è che, eccettuata qualche rarissima presenza, niente di animato sembra abitarli. Taciti solfeggi, selenici linguaggi, zitti idiomi, cosmici silenzi immettono in una dimensione vastissima, al di là della vita e della morte. Per tutto queste cose i testi di Marco Furia sono lontani dalla pura descrittività, da un gioco di eleganza formale, come sembrerebbe. Per quanto mi riguarda, trovo questa poesia molto inquietante. Dov’è l’uomo? Non è ancora, o non è più? E il tempo perché si agglomera e condensa tutto in uno dei testi dell’e-book, dove all’alba segue il meriggio e subito dopo l’ombra sempre più cupa della sera e della notte? Esso sembra dire che il passaggio delle cose viventi è così breve da essere quasi inesistente a confronto degli spazi muti ed immensi degli elementi della Natura, della loro fissa eternità che guarda, muta.

 Luciano Nanni - 16/04/2015 13:56:00 [ leggi altri commenti di Luciano Nanni » ]

Questo tipo di poesia corre il pericolo di trasformarsi in un ‘meccanismo’ di sostantivi ed aggettivi, eppure mi piace particolarmente essendo ciò che io intendo per poesia: invenzione, ovvero capacità di creare nuovi spazi immaginativi che in virtù della loro forza icastica diventano significati. Alcune intuizioni sono di perfetta eleganza figurale, per esempio “lieve intreccio di gócciole”.

 Marco Furia - 15/04/2015 16:57:00 [ leggi altri commenti di Marco Furia » ]

Davvero penetranti parole: un sincero grazie ad ambedue!
Marco Furia

 Mauro Macario - 15/04/2015 14:53:00 [ leggi altri commenti di Mauro Macario » ]


Poesia emorragica dove il sangue nasconde la ferita da cui fluisce per astuzia terapeutica,l’autore trivella la lingua e trova l’oro nero della notte e poi l’argento vivo del giorno vitalistico, dirompente. Un giorno, il pozzo sarà asciutto e dovrà cercare una lingua ancora sommersa,inventandola come un esperanto di soccorso. Ma pare inestinguibile questo scavo tra cuore e materia dell’immaginario, questi graffiti sonori che ci riportano alla sacra fonte originaria, mischiando storia e preistoria, smembrando l’essere civile in brandelli di luce.

 Maria Teresa Savino - 15/04/2015 13:15:00 [ leggi altri commenti di Maria Teresa Savino » ]

Poesia di versi brevi,ritmata sul pentagramma dell’anima.
Pensieri,riflessioni,sogni, espressi in un coacervo di colori,musica e silenzi. La natura,il cielo,l’alternanza di luce e di ombra nell’inseguirsi del giorno e della notte, sottolineano sempre e con forza la sensibilità del poeta ed esprimono,in definitiva, la sua personale ricerca di approdo ad una vita gioiosa,felice.