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Donne tra Poesia e Cucina

Argomento: Letteratura

di Grazia Furferi
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Pubblicato il 12/03/2014 12:53:54

 

DONNE TRA POESIA E CUCINA

 

È storia recente il riconoscimento professionale della donna come cuoca cioè come soggetto creativo e competente accettato in quell’attività produttiva prettamente maschile che è l’arte del cuoco.

Impegno principale della donna fino al secolo passato è stato quello di cucinare il cibo per la famiglia senza però pensare di fare di questa sua attività una professione in quanto era dogma inconfutabile che l’uomo e solo l’uomo aveva le doti necessarie per esercitare tale attività.

La “Guida Michelin”, una pubblicazione nata in Francia nel 1900  e destinata ai primi automobilisti gastronomi allo scopo di illustrare le caratteristiche dei ristoranti di qualità presenti sul territorio, ha per la prima volta nella sua storia conferito alla signora Nadia Cavaliere di un noto ristorante mantovano il titolo di chef internazionale, attribuendole le tre stelle dell’associazione che la consacrano tale.

Una notizia rivoluzionaria nel mondo dei gourmands.

Così, a dispetto dei più scettici e tradizionalisti cultori della “grande cucina”, un altro pilastro della prerogativa maschile è caduto.

Una donna ha sfatato il mito dello chef uomo e solo uomo: perché questo è stato lo status di fatto nelle cucine delle più alte sfere sociali di tutto il mondo fin dai tempi più antichi; tanto da far dire a Vincenzo Tanara[1], gastronomo bolognese vissuto nella metà del seicento, nella sua opera  “Economia del cittadino in villa”: “ardirei in buona Economia affermare, che tornasse il conto tener più tosto un Huomo Cuoco, che una Donna” ed ancora spiegava Tanara che chiunque serve in cucina deve essere «polito, fedele e intendente. Chi non sà, che per ordinario è più netto il più sporco Huomo, che la più polita Donna?».

Sarebbe dunque, ai tempi del Tanara, impensabile che una donna potesse attendere all’arte del cucinare; un’arte che, secondo lui, necessitava di ordine, forza fisica ed intelligenza creativa oltre che gestionale, negata alla figura femminile.

Ovviamente le considerazioni del Tanara si riferivano alle esigenze di una cucina seicentesca al servizio di una classe sociale privilegiata, soggetta ad una rigida divisione di genere che escludeva le donne da tutto ciò che riguardava la conduzione economica e produttiva familiare.

In questo ambito rientrava per competenza anche l’allestimento del cibo e la governabilità della cucina in quanto spazio operativo dal quale dipendeva il nutrimento e quindi la salute della famiglia.

Era necessario perciò che a questo compito provvedesse una persona fidata, competente e adatta al comando, dotata di qualità riservate  in quei tempi solo al genere maschile; pertanto tutte le cucine dell’alta società pullulavano di uomini addetti all’allestimento del cibo con incarichi ben precisi ed ordinati allo scopo.

Non che le donne mancassero in quella fabbrica del cibo ma il loro ruolo era relegato ai servizi complementari di pulizia ed ordine dell’ambiente cucina.

E per proseguire su questa strada, ancora Nietzsche[2] scriveva agli inizi dell’800 che “ la donna non capisce che cosa significhino i cibi: e vuole essere cuoca!”

Considerando che “l’alta cucina” intesa come cucina delle alte sfere sociali era ed è rimasta, ancora fino ai nostri giorni, dominio maschile di quel cuoco che si attribuì poi anche il ruolo di ideatore e produttore della cucina “alta” in senso creativo, e che la donna nel passato deteneva il ruolo di cuciniera solo nelle sfere sociali più modeste, si può affermare che è realtà recente l’ingresso in cucina della donna come figura professionale.

La donna ha dunque avuto nella sua storia passata il ruolo di colei che deve accudire la casa, allevare figli ed elaborare o meglio allestire l’alimentazione familiare nel modo più diligente e consono a quelle che erano le regole stabilite da una società che la voleva, salvo qualche eccezione, donna tra donne all’interno della casa.

Essere una cuciniera ma mai una cuoca!

Al massimo un aiuto-cuoco.

Assolutamente convinto della superiorità fisiologica e mentale dell’uomo sulla donna, il Tanara, affermava tra l’altro, che “L’havere à paragonare la intelligenza ordinaria d’un huomo con quella della donna, è ingiuria grande al nostro sesso”.

E se questo valeva per la donna in cucina, proviamo a vedere quanto questo concetto vale rapportato alla donna poeta.

La donna è da sempre poesia in quanto oggetto stimolatrice dell’espressione poetica maschile.

Ma quanto e da quando la donna è soggetto produttivo di versi poetici? In modo pubblico, solo in tempi recenti e solo a tratti nei secoli passati.

A parte le due poetesse dell’antichità greca Saffo di Lesbo e Nosside di Locri, non abbiamo nella letteratura latina nessuna poetessa manifestata, solo un riferimento alquanto velato e ambiguo di Tibullo[3] nelle Elegie per Sulpicia divise in due gruppi dove, nelle prime cinque, si racconta degli amori di Sulpicia per Cerinto e, nelle seconde, Sulpicia stessa confessa con i suoi versi l’amore appassionato per Cerinto.

La possibilità che Sulpicia fosse la vera autrice delle poesie non era mai stata presa seriamente in considerazione fino a quando John Heath-Stubbs (1918-2006), che aveva  tradotto e pubblicato nel 2000 Poems of Sulpicia (Hearing Eye–London),  non pone il dubbio che dietro Tibullo ci fosse veramente una Sulpicia, poetessa in carne e ossa.

Consideriamo anche il ritrovamento di alcuni versi espressi da un’altra Sulpicia vissuta ai tempi di Domiziano.

Altre testimonianze emergenti di produzioni poetiche al femminile le ritroviamo poi nella poetica cortese di Maria di Francia nel XII sec., in Christine de Pizan[4] poetessa spagnola del XIV sec. che così si lamentava nel suo Livre de la Cité des Dames”: Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatta nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…e poi nelle varie epoche, Compiuta Donzella, Gasparra Stampa, Isabella Morra, Veronica Gambara, Vittoria Colonna per nominare alcune tra le più note.

Scrittrici di professione, che colmavano un vuoto, quello della presenza femminile nella cultura in genere, determinata come sappiamo oggi, non da inferiorità naturale, bensì dall’isolamento tra le mura domestiche e dall’educazione limitata impartita a quel tempo alle donne che se adeguatamente data, commenta la Pizan, come agli uomini esse: imparerebbero altrettanto bene e capirebbero le sottigliezze di tutte le arti.... Argomento che non mancò di affrontare nelle sue opere.

Ovviamente l’estrazione sociale di queste voci poetiche al femminile proveniva da una classe sociale alta, privilegiata per benessere e detenzione dei patrimoni culturali; tale posizione della donna nei salotti letterari dell’epoca, favoriva e giustificava il suo accesso alla discussione letteraria.

Per arrivare a voci poetiche femminili più popolari e diffuse bisogna aspettare il XIX secolo con Emily Dickinson, Elizabeth Barrett Browning o Diodata Salluzzo e Angelica Palli Bartolomei che, in Italia, portano la loro scrittura anche nell’impegno sociale e politico. In funzione di quest’impegno, queste poetesse e scrittrici sono sostenute e stimolate in quanto, pur mantenendo fermo nelle loro opere il modello materno e femminino proprio del genere, lo rielaborano e lo portano verso la modernità. La scrittura è per queste donne un mezzo gratificante di realizzazione e di espressione, ma anche, attraverso la gestione in prima persona dei rapporti con editori ed intellettuali, l’affrancamento da una mediazione maschile che le proietta in modo autonomo in una giustificata dimensione pubblica.

La conquista sociale e l’affermazione pubblica delle donne scrittrici, genera non solo una produzione poetica nuova, ma nello sviluppo di questa letteratura al femminile trovano spazio, forse per la prima volta, l’uscita di manuali e ricettari di cucina scritti da donne per le donne. Una cosa scontata oggi. Ma ancora alla fine dell’Ottocento inconcepibile, in quanto scrivere di cucina era, così come l’arte del cuoco, un’esclusiva maschile.

Erano i grandi cuochi che scrivevano ricettari e manuali destinati ai professionisti del mestiere e siccome non prendevano in nessuna considerazione le  problematiche culinarie della comune madre di famiglia, i loro suggerimenti non erano facilmente riproducibili dalle donne di casa.

Una delle prime autrici ad intaccare questa roccaforte maschile e a dare il via ad una letteratura gastronomica al femminile è stata Caterina Prato che, nella metà dell’Ottocento, pubblicando a Graz un manuale per cuoche inesperte, tradotto poi in italiano nel 1892, ottiene un clamoroso successo. E ancora Giulia Lazzari Turco, scrittrice ed intellettuale veneto-trentina che, tra il 1904 e il 1910, pubblica tre diversi ricettari, uno dei quali destinato alle famiglie operaie.

Sono questi i primi ricettari prodotti per dare consigli e suggerimenti in campo gastronomico alle cuoche casalinghe ed alle giovani donne proiettate alla formazione della nuova famiglia moderna che vede la donna sì in cucina, ma consapevole e soprattutto padrona del suo ruolo nella società.

Nell'Ottocento dunque cominciano ad affacciarsi nel panorama culturale italiano i primi nomi femminili destinati ad entrare nella letteratura come Ada Negri o Sibilla Aleramo,  ma è nel ventesimo che le donne diventano protagoniste della poesia e con determinazione si affermano accanto, e al di sopra, della poesia al maschile.

La nostra letteratura poetica si arricchisce e si afferma con il premio Nobel a Grazia Deledda. E prosegue con scrittrici come Amelia Rosselli, Antonia Pozzi, Margherita Guidacci, Giovanna Sicari, Elsa Morante fino alle contemporanee Alda Merini, Maria Luisa Spaziani, Dacia Maraini ed alle nuove affermazioni per carattere stilistico e poetica.

La donna poeta e la donna cuoco, hanno pertanto un destino comune: quello di essere professioniste conclamate l’una della letteratura e l’altra della cucina solo da un tempo storico recente.

Una professione, frutto di una scelta considerata e voluta a dimostrare, ancora una volta, che la creatività e l’attitudine ai mestieri non ha sesso e il titolo attribuito alla signora Cavalieri ne è lo specchio così come lo sono gli innumerevoli riconoscimenti acquisiti dalle donne poeta di oggi.

La linea di demarcazione che definiva e isolava la donna casalinga dalla donna poeta, privilegio di casta, cade con la diffusione dell’istruzione che  permette a più donne, al di fuori della loro estrazione sociale, l’accesso alla formazione culturale e quindi alla possibilità di aggiungere la propria voce alla letteratura poetica.

La poesia, in quanto linguaggio comunicativo di sensibilità femminile, è ormai diffusa senza più impedimenti sociali e culturali; appartiene a tutte le donne che si preoccupano di esprimerla e diffonderla, magari in cucina, sperimentando o riproponendo versi e ricette.

Non ancora del tutto libera dalla sua definizione di donna-casa, cucina e figli, la donna poeta spesso ha per necessità familiare o scelta un contatto necessario o voluto con il fare cucina e tutto quello che ruota intorno all’azione del cucinare.

E’interessante sapere, quando questa condizione si presenta, in che rapporto si pone l’attività culinaria con quella poetica, se l’una esclude l’altra o la prevale o  possono coesistere interessi altrettanto poetici quanto culinari.

Dacia Maraini è una delle poetesse e scrittrici italiane del nostro tempo che più di ogni altra, per le proprie esperienze di vita, ha avuto una particolare attenzione verso il cibo, i suoi odori, sapori e colori e li ha voluti riportare e raccontare nei suoi scritti poetici e narrativi ricordando in una intervista che “Chi non ha avuto veramente fame non può capire cosa significhi il cibo…La mia fervida immaginazione sul cibo viene da lì, come viene da lì la mia abitudine a non buttare via niente che sia commestibile. La fame è un ricordo che non si cancella.”

Il senso del cibo è cosi pregnante nella Maraini che diventa spesso metafora e oggetto per ragguagliare le sue emozioni.

Non mancano nelle sue opere riferimenti alimentari che vanno dai più semplici e quotidiani cibi a menù raffinati e soprattutto suggerimenti indicativi e vere e proprie ricette per la loro preparazione, tanto da esprimere così il suo rapporto con la scrittura: “Per me scrivere è come fare il pane: bisogna lavorare molto la pasta…farla riposare, farla lievitare, amalgamarla ancora e poi infine metterla in forno.”

E in “ricamare, tu dici” dalla raccolta di poesie “Mangiami pure”definisce il suo essere donna: “…è il mio modo di essere donna


stringere una cipolla cruda
nel palmo della mano


sentire col filo delle dita


l'orlo della tavola ...”

E la sua attitudine al cucinare in “insulti” da “Dimenticando di dimenticare”:

“
e mescolare il sugo e tritare l'aglio


e aggiungere acqua all' acqua


e buttare il sale


e versare la farina


e scodellare l'occhio bullo dell'uovo


nel blu gelato del piatto


e ci insultiamo nervosamente


e il muscolo del braccio muore


e il brodo bolle scintillante di grasso


e la porta del frigorifero è aperta


e quei cerchi di debolezza


che mi bucano le palpebre


e riprendo a tritare carote


e mescolare il riso


e infarinare il pesce


e indorare le patate


e pulire il coltello


e tagliare il pane


con mani molli di fata


e ci insultiamo cocciuti malamente”

La Maraini scrittrice e donna, compendia, alla fine, quella cuoca-poeta che rispetta, nel suo caso, le sue regole di scrittura e cucina in un atteggiamento di curiosa attesa per il miracolo finale che può sortire dalla mescolanza di cibi o parole quando vengono “nella stanza delle parole” o nella stanza-cucina, combinate e poi risistemate in una nuova sperimentazione il cui risultato è tutto da scoprire.

“...L’importante è sapere…” come lei scrive nella retrocopertina del libro “Dacia Maraini in cucina”,  “…che nella scrittura si può trovare il gusto delle più segrete ricette di cucina”.[5]

 

 



[1] L’economia del cittadino in villa. Del signor Vincenzo Tanara . Libri VII.. In Bologna, per gli Eredi del Dozza, 1651. Biblioteca Bertoliana

www.bibliotecabertoliana.it/proposte/vitainvilla.pdf

[2] www.itard.it/menu_a_tavola/marcolfa_01.html - 27k

[3] Tibullo, Elegie, Fabbri editore, Milano, 1994

www.letteraturaalfemminile.it/sulpicia.htm - 30k

[4]  Christine de Pizan, “Livre de la Cité des Dames

http://www.letteraturaalfemminile.it/christine_de_pizan.htm

[5] DACIA MARAINI IN CUCINA, Sapori tra le righe, a cura di G. Marinelli, Marlin Editore,

Cava de’ Tirreni (Sa), 2007


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