Pubblicato il 14/10/2014 17:33:26
Mama Béa – una Rock Star ‘doc’ caduta dal cielo. 1979 – Italian Tour avec Mama Bea Tekielski I più giovani si staranno chiedendo chi è? Una con un nome così di certo non passa inosservata. Se poi si presenta in scena con una chitarra e alcune bambole di pezza con gli occhioni sgranati come i suoi, va detto che fa un certo effetto. Così come sapere che arriva da Parigi dove sta ottenendo un certo successo lascia sbigottiti. Ma perché, scusa? Beh, non tanto per la chitarra cui siamo abituati di vedere, tutte le cantanti francesi si presentano sulla scena con uno strumento, sembrerebbe quasi che tenga loro compagnia. Mama Bea no, tiene in mano una mitraglia, e la usa per sparare sul pubblico che sbigottito non è più in grado di fuggire. Sì, perché il frastuono dei decibel della sua chitarra è incalzante, non lascia scampo, ti schiaccia al suolo, ti rintrona, ti sconvolge gettandoti nel più terreno dei “Chaos” metropolitani, che è poi il titolo del nuovo album appena uscito quest’anno sul mercato discografico. Per non dire della sua voce che arriva come un turbine di angeli caduti in preda al panico, gridando ossessionata di “Fare esplodere questa città”:
"I bambini hanno gli occhi / bruciati dalle luci della pubblicità./ Nella città adulta non vi sono superstiti./ I bambini hanno gli occhi con le palpebre cucite / nella città adulta non vi sono superstiti./ Fare esplodere questa città! E saltare con essa! / I bambini hanno gli occhi trafitti da corvi./ Quando gli adulti parlano non vi sono superstiti./ i bambini hanno gli occhi popolati di cimiteri./ Quando gli adulti mentono non vi sono superstiti. / Ma io aspetto i bambini venuti da un’altra galassia / e la loro musica mi dice che non ci saranno superstiti / perché essi hanno gli occhi bruciati dalla rabbia./ Tremate vecchi di tutte le età! Bruceranno i vostri idoli./ (Sono qui per fare esplodere questa città e saltare con essa!)”.
Beh, che ve ne pare? Solo che lei queste cose le scriveva negli anni ’70 e ti arrivava addosso come un treno in corsa. Una folle! Come il titolo di un altro suo brano “La pazza”:
“La sua mano destra che, come un battito d’ala di un vecchio uccello senza fiume, arriva sempre prima di lei come un sinistro messaggero; tutta la città la conosce, dal tempo in cui lei percorreva, in tutte le direzioni e in tutti i momenti, la campagna circostante e l’umile selciato della strada con i piccoli passi secchi e martellanti della sua andatura irregolare, senza preoccuparsi né del clima né dell’ora … La pazza, la pazza … Stamattina l’ho vista passare, vestita di rosso sanguigno, la sera invece era vestita di nero, non saprò ‘mai perché’ … La sua mano, come una rondine che annuncia una primavera bizzarra! Tutta la città la conosce, ma nessuno la guarda, se venisse a parlarci di quanto non possiamo capire … La pazza, la pazza … Il suo collo fiammingo che ondeggia un po’ nella fuga o forse nell’inseguire un’immagine smarrita dell’altra faccia di uno specchio, dell’altra faccia di uno specchio, nessuno può dire da quando è cominciata questa ronda incessante, tutti si domandano come, giorno dopo giorno, possa farcela … La pazza, la pazza … Il suo occhio che non ci vede più, che ci confonde con le ombre, quale ferita folgorante ha messo tra noi questa cortina? Su quale riva stiamo e siamo veramente noi che non possiamo più attenderla … La pazza, la pazza … Come una canna che si piega nella tempesta, quanto tempo resterà a correre in questo incendio? Quali visioni , quali pianeti Piomberanno ancora su di lei Prima che l’ultimo delirio Immobilizzi la sua mano, quanto tempo le resta, alla pazza, alla pazza? Quanto tempo mi resta e ci resta prima che tutte le nostre ferite, dissimulate e mal curate, i nostri sogni, i nostri desideri castrati, le nostre umiliazioni soffocate e l’impossibilità di parlarne, ci facciano saltare il passo, ci facciano scoppiare in una grande risata simile al singhiozzo, simile al singhiozzo che lei si porta sempre dietro … la pazza, la pazza …! La pazza!”
La si direbbe un delirio, le cui grida potevano sentirsi in tutto l’emisfero celeste e oltre, assecondate da un rock duro in cui le note stirate al massimo assecondavano le parole, distorcendone il suono che ne veniva ingoiato e rigettato in faccia all’audience con graffiante sicumera da artista provata, surriscaldata dal fuoco delle grandi platee che oggigiorno riempiono gli stadi e che all’epoca al massimo occupavano l’Olympia di Parigi o il Sistina di Roma, quattro gatti al confronto. Ma che lei con le sue quattro bambole di stracci e una chitarra riusciva a incendiare con le sole parole ‘gridate’ da spalancare con la sua ‘La chiave’ le porte dell’inferno:
“Sono nata in questo tempo / che sogna l’America,/ quando l’America invece ha paura / di credere ancora al suo sogno./ Sono nata in questo tempo / di crisi e di rabbia,/ che vede i figli abbandonare / la casa paterna …/ In quale tempo sono nata?/ Datemene la chiave!/ Sono nata in questo tempo /di bizzarri bombardieri,/ in cui gli ordini esplosivi / si accompagnano ai sacchi di grano!/ Sono nata in questo tempo / di sconvolgimenti e di conquiste,/ in cui la donna ha seminato / il vento della tempesta …/ In quale tempo sono nata?/ Datemene la chiave!/ Sono nata in questo tempo / di periferie galattiche,/ in cui il mio vicino / non sa nemmeno che esisto./ Sono nata in questo tempo / in cui la disperazione fiorisce / sui balconi della città-dormitorio …/ In quale tempo sono nata?/ Datemene la chiave!/ Sono nata in questo tempo / del massimo profitto,/ che fa incancrenire la terra / e tiene conto solo della ricchezza. / Sono nata in questo tempo / che realizza anche l’impossibile / e in cui, nonostante tutto,/ ci si deve torturare per vivere …/ In quale tempo sono nata?/ Datemene la chiave”. È pur facile intuire a quale fonte ‘anarchica’ Mama Bea attingesse. Lo spirito del tempo almeno in Francia era quello di Georges Brassens, Jacques Brel, Barbara, Colette Magny e Léo Ferré. Amava le canzoni che proponevano anche testi di un certo livello, quelle di Léo Ferré ad esempio, e che apprezzerà al punto di reinterpretarne dodici nell'album “Du côté de chez Léo” ormai irreperibile. A vent'anni inizia la carriera di cantautrice e nel 1971 esce il suo primo album: Je cherche un pays. Comincia ad ascoltare anche Janis Joplin, Jimi Hendrix, Leonard Cohen e Bob Dylan. Sempre in quegli anni riprende anche “De la Main gauche” di Danielle Messia e darà la voce a Édith Piaf nel film “Édith et Marcel” di Claude Lelouch. Nel 1978 esce l'album “Ballade pour un bébé robot”, ottiene il premio per il miglior disco straniero in Italia, il premio dell'accademia Charles Cros e il premio dell'Association des Disquaires de France:
“È la ballata Che la mamma robot canta al suo bambino robot affinché si addormenti, lui che non vuol fare la nanna, non vuol fare la nanna … ‘Il loro amore incandescente accadrà vita ad un essere multicolore di argilla e di bronzo accadrà una volta non si chiameranno né Eva né Adamo non avranno radici, non si danneranno nella ricerca di una paternità suprema. Non soffrire insudicerai il tuo gilet di rame stagnato, non sognare farai esplodere i circuiti stampati, non piangere farai arrugginire le ciglia di latta. Siamo troppo piccoli, ma incolpevoli siamo il risultato di un’equazione errata. Dovremo consumare l’errore sino all’esplosione finale! Ma non piangere non è triste poiché … Il loro amore incandescente darà vita ad un essere multicolore di argilla e di bronzo. Accadrà una volta … Ma allora non ci saremo più. L’amore sarà senza noi, senza noi” … Questa è la ballata che la mamma robot canta al suo bambino robot affinché si addormenti, lui che non vuole fare la nanna, che non vuole fare la nanna … che non può fare la nanna …. Che non può fare la nanna”. Pensate che erano solo gli anni ’70 ma già c’erano dentro tutti i ‘germi’ del futuro arrabbiato e incerto che ci aspettava: il criticismo kantiano, il più tardivo nichilismo nietzschiano, l’inquietudine di Galimberti, l’impertinenza di Odifreddi, la modernità liquida di Bauman, la decostruzione di Bausch, il vuoto sonoro di Cage, la sperimentazione vocale di Stratos, la metafisica quantistica e quant’altro, ricalcato (qualcuno ne dubita?) sull’esperienza genialoide futurista. Scusate se è poco, ma Mama Bea poteva anche non saperlo, fatto è che ha scritto i testi più rivoluzionari e ‘nichilisti’ che fosse possibile ascoltare in quegli anni:
Le parole. “Patatata, patatata, patatata, patatata, patatata, patatata, le parole sono troppo grandi o troppo piccole le parole non dicono mai abbastanza. Credi di parlare e quando hai finito ti accorgi che non hai detto nulla … Delle parole gorgoglianti che fanno troppo rumore, delle parole divertenti che non fanno ridere nessuno, delle parole leggere dure come pietre, delle parole simpatiche che non si ascoltano. Patatata, patatata, patatata, delle parole così vuote che ci si sprofonda dentro, delle parole così stronze che non ci danno alcun sollievo, delle parole così buone che si mangerebbero! Delle parole così belle che non si dicono mai … Le parole troppo grandi o troppo piccole, si hanno nel cuore, perché dirle quando si è certi di non essere capiti, già che non abbiamo tutti lo stesso delirio … Patatata, patatata, patatata …”.
Non resta che una domanda, e qualcuno che gliela fa. “Perché gridi?” han chiesto dalla platea, ma includeva già la risposta:
“La bambina aveva le trecce di satin / con nastri azzurri e rosa che brillavano tra i suoi capelli / note musicali sospese alle orecchie / che tintinnavano … che tintinnavano. / Teneva nel suo grembiule delle nuvole di cioccolato / e attraversava i ruscelli sui ponti di panpepato. / A un tratto si è fermata, mi ha guardata e mi ha domandato:/ Mi dici perché gridi?, mi dici perché gridi …/ Grido perché ho nel ventre una speranza / grido perché al risveglio ti resti qualche cosa / grido perché un giorno il loro silenzio ti farà molto male! / E perché tu tenga a mente,/ io ti avevo avvertita / che non saprai mai la risposta alla tua domanda. / Essa allora rise e poi disse: / “Non capisco!/ Dimmi perché gridi, dimmi perché gridi”/ La bambina mi ha detto: “Guarda cosa hanno fatto!/ hanno sradicato l’albero dal mio giardino,/ hanno preso l’uccello che mi si posava sulle mani e / l’hanno chiuso in una gabbia e,/ l’hanno chiuso in gabbia!/ la bambina ha versato tutte le sue lacrime / ai petali sgualciti di un fiore straziato,/ ma questo gesto non gli ha reso la vita”/ Allora lei mi disse: “So perché gridi, so perché gridi …/ per favore, grida anche per me …”
Discografia su etichetta RCA: • 1971 : Je cherche un pays • 1976 : La Folle • 1977 : Faudrait rallumer la lumière dans ce foutu compartiment • 1978 : Pour un bébé robot • 1979 : Le Chaos • 1979 : Visages • 1980 : Pas peur de vous • 1981 : Aux Alentours d'après minuit • 1982 : Où vont les stars ? • 1983 : Edith et Marcel (Extraits de la Bande originale du film) • 1984 : Survivants • 1986 : La Différence • 1988 : Violemment la tendresse • 1991 : No Woman's Land • 1994 : Ma Compilation • 1995 : Du Côté de chez Léo • 1998 : Indienne Sito web mamabea.fr
Attention , Vous êtes dans la caverne de l ' OVNI de la " chanson française " Inclassable , ingérable et j ' en passe ! Bienvenue à bord ! Soleils.
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