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’GLI ACUFENIDI’ - ..una tipologia umana / astrale

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 01/11/2014 10:47:20

Gli ACUFENIDI ...una tipologia umana di provenienza 'astrale' tra noi.

 

Sono gli abitanti del Cyberspace venuti a ‘conquistare’ il nostro pianeta con le loro molteplici applicazioni tenologiche di Smartphone, i-Phone, i-Pad, Tablet, con Display Retina 2.0, 2.1, 2.2, Tre.Dati Plus, Blue Tout, On-Demand, All-In One, Top Unlimited, Security Suite, inclusive di Internet in Roaming International quali YouTube, Facebook, Google, Twitter che fanno uso di una lingua monogrammatica di tipo metal-acustico compressa in acronimi equipollenti e scritta in monogrammi dal suono spesso impronunciabile seppure di facile assimilazione come G(iga) e M(ega) Byte, LTE, WEB, SMS, e-Mail ecc.

 

Ma se ‘impronunciabile’ è equiparabile a ‘fare silenzio’ o quantomeno invita a ‘stare muti’, in realtà accade tutt’altro. Gli AcuFenidi, da ACU (Accounter Customers United), suddivisi in quelli che hanno un’età compresa fra 13/25anni; e i FENI (Final Estinguish National Interpreters) la cui età oscilla fra 26/36anni e che manifestano una percezione di ‘suoni/rumori’ (complessi che variano col tempo e con l’età) che l’orecchio (abituale) percepisce come particolarmente fastidiosi, e che procurano nei soggetti più sensibili, cosiddetti ‘diversamente giovani’, disturbi uditivi spesso associati a deficit neurologici.

 

Nel frattempo squilla il tuo telefonino che hai cacciato in tasca, sì ma dove? È davvero incredibile come l’onda sonora di quell’aggeggio infernale che il tuo cellulare di cui ti sei dotato giunga nel momento e nel posto sbagliato. E tu che fai non rispondi? Uno, due, tre momenti irrefrenabili di quella musichetta inqualificabile che hai scelto per suoneria. Finalmente lo trovi.

 

“Eccolo!” – pensi orgoglioso di te stesso. “Sì!” – rispondi cercando di darti una dignità che hai già persa.

“Papà perché non rispondi al telefono?”

“Ma come, ha fatto appena uno squillo!”

“Veramente è da ore che provo a chiamarti.”

“Non è possibile!”

“Non essere il solito polemico, credimi, con la tua ostinazione di tenerti quella specie di cabina telefonica che ti porti dietro, non arriverai da nessuna parte.”

“Perché, dove dovrei arrivare, sto forse partendo?”

“Te lo già detto è ora che lo cambi.”

“E di questo che ne faccio?”

“Buttalo via, rottamalo!”

“Senti, devi chiedermi qualcosa, oppure …?”

“Si, ma ti mando un SMS.”

“Nooooooooo!!!!!”

 

All’urlo terrorizzato che rintrona nel negozio, gli altri avventori reclamano una precedenza che non hanno maturato. Resto basito dai rumoreggiamenti che si levano come da un corteo in sciopero (della fame) ma non mi astengo dal far sentire la mia:

 

“Ognuno ha il suo da fare, o no?”

“Si ma fai presto e soprattutto ‘falla tutta’” – mi incita il Feno dietro di me.

“Soprattutto ricordati di alzare il coperchio della tavoletta!” – aggiunge l’Acu che gli sta accanto con le cuffie incorporate.

 

Perché una cosa che non ho detto è che gli AcuFenidi hanno un i-Pad infilato da qualche parte capaci di riceve imput astrali che rispondono a scatti con voce da sotterraneo della metro, che non sai mai da dove arriva. Per cui se si avvia una conversazione ciò che si riesce a comprendere sono frasi distanziate tra loro, interconnesse a rumori urbani da ‘rapper di strada’. Detto fatto in breve ogni luogo può trasformarsi in un ‘rave party’ dentro e fuori di un centro commerciale, una piazza, una via affollata.

 

Accadimenti come l’esposizione al rumore o all’intossicazione da ‘suoni’ misurati in decibel elevati e continui che invadono, sovrastano, espropriano tutti gli spazi ‘reali’ disponibili, sostituendosi a relative situazioni di rilassamento, come ‘pausa uditiva’, ‘pace’, ‘tranquillità’ e tutti i sinonimi possibili fino a ‘silenzio’, sono esperibili dappertutto, in ogni luogo e in ogni momento del giorno e della notte.

Una statistica di quanti dormono, si fa per dire, con la TV accesa, o con le cuffiette dell’i-Pad infilate nelle orecchie ha rivelato un dato esorbitante. Per non dire di quanti da svegli fanno la stessa identica cosa, cioè si ‘bombardano’ il cervello, per non ‘sentire’ (?), per non capire (?), per dissolvere le antiche paure (?). Forse!

 

“Papà, lo spazio non appartiene a nessuno, è virtuale, e poiché (voi) non ci lasciate un centimetro di superficie qui sulla terra, lasciateci almeno lo spazio virtuale, ti pare?”. (Ovviamente non che mio figlio parli questa lingua obsoleta, ma si fa capire e quello che voleva dire all’incirca quasi l’ho interpretato come un sintomo isolato ma molto diffuso).

 

Non so voi, ma personalmente ho potuto constatare un eccesso di interlocutori virtuali e multi-etilici che parlano rivolti al vuoto che li circonda, s’incazzano, si esprimono per sillabe, mugugni, mezze parole, mezzi pensieri, mezzi concetti, attraverso pareti, vetrine di negozi, finestrini delle auto in corsa; che calcano i marciapiedi delle strade, oppure restano immobili in un mutismo sospeso in orbite perpetue nel tempo e nello spazio. Sono creature cibernetiche, per lo più embrioni virtuali, entità interattive dal potere distruttivo.

 

Ecco, sono loro, gli attuali AcuFenidi, non potete non riconoscerli. Indossano bluse di felpa con cappuccio aventi scritte d’ogni genere, o cappellini colorati con sigle d’appartenenza (?), occhialetti con lenti (vetri) colorate che rendono il loro sguardo ‘cieco’; zainetti in spalla ‘vuoti’ perché sono trend così e lo sbatacchiano in qua e in là baldanzosi ignorando chiunque e qualsiasi cosa, dai semafori ai marciapiedi, alle strisce pedonali. Quando non sono su uno skate hanno un paio di pattini ai piedi o una biciclettina pieghevole, calzano scarpe di colore giallo, rosso, verde acido coi lacci eternamente sciolti perché ovviamente gli AcuFenidi non camminano, bensì saltellano, e regolarmente finiscono per calpestarti.

 

“Ma scusa non mi hai visto?”

“Semplice no, se non ti ho visto è perché non esisti!”

 

Per non dire dei tattoo che sfoggiano a non finire, una foresta di eroi e supereroi, velieri, auto da corsa, madonne e cristi come santini stampati sulla pelle, come dentro delle capsule virtuali, con le loro visioni di simboli astrali, svastiche, croci, vortici, stelle che vagano dagli arti, sui muri, nei cieli di domani. Sì, perché gli AcuFenidi sono già un passo ‘oltre’, hanno scavalcato l’orizzonte dell’età, oltre il quale tu semplicemente ‘non esisti’. Nel senso che ti hanno già ‘rottamato’ nel bidone della spazzatura, insieme a tutte quelle balle che da sempre gli hai raccontato: disciplina, moralità, giustizia, democrazia, ecc. ecc. Una dimensione questa dove nulla , o almeno nulla di quello che intendiamo come la nostra ‘esperienza’, potrebbe avere luogo.

 

“Che strana parola, senz’altro un refuso del Jurassico!” - mi dico, ma la prendo come una manifestazione d’affetto fra l’atterrito e il divertito.

“Ma quanto sono simpatici questi giovani?”

 

La risposta mi giunge dal distinto signore (mascherato di normalità) che mi siede accanto in ambulatorio, mentre attendo per una visita alla prostata. Sì perché sembra che raggiunti gli ‘anta’ si da il caso che diventi necessaria. Così almeno si è espresso il Feno-medico aggiungendo che se non ho mai raggiunto gli ‘anta’ prima, non posso sapere che cosa mi capiterà.

 

“Perché raggiunti gli 'anta' deve necessariamente capitarmi qualcosa?” – gli ho chiesto.

“Vede, in questa fascia temporale ‘millenarista’ la gioventù cominciata prima non può durare di più, questo è tutto! – ha sentenziato il medico/Nietzsche. 

"È indubbiamente così, pura statistica!” – aggiunge il mio interlocutore ambulatoriale.

“Perché anche lei rientra nella casistica degli ‘anta’?”

“Certo che sì, altrimenti che ci sto a fare qui? Vede caro signore, le giovani generazioni non durano neanche il minimo necessario per meritare un nome che le distingua dalle altre più giovani generazioni”.

“Ma va, sa che non ci avevo fatto caso!”

“Avanti il prossimo!” – chiama l’urologo dallo studiolo, con voce che atterrisce. “Tocca a lei!” – dico con sottile piacere al Feno-Plus che sbianca.

 

Già non vi ho ancora parlato dei FENIDI Plus. Sono un numero elevato in continuo aumento e arrivano fino agli 80anni suonati, fra i quali si riconoscono molti di noi. Siamo consapevoli che il tempo è molto più veloce della nostra capacità di assimilare la velocità dell'invecchiamento. L’incredibile è che vi rientrano tutti quelli che non si sono arresi all’usura del tempo e che cercano, ‘costi quel che costi’, di connettersi col Cyberspazio. Il mondo è pieno di umani di 60enni e più convinti di averne 20 che di per sé contraddicono quello che è visibile a occhio nudo. Cioè gli (in)arrendevoli che comunque continuano a dichiararsi ‘in’, senza aver compreso d’essere in via di estinzione definitiva, in quanto pur essendo ancora in vita, senza accorgersi sono ormai ‘out’, come dire già morti.

 

“Tu sai qual è il massimo per uno smemorato?”

“Non ho idea.”

“Morire e dimenticarsi di chiudere gli occhi!”

“Carina questa, me l’appunto.”

“È del tutto inutile, tanto poi non la ricorderesti.”

 

Come non ammettere che gli scollegati, i disgiunti, gli eterni indecisi siamo noi, ostinati come siamo a vivere nel loro stesso ‘spazio’ smaterializzato, de-contestualizzato, supersiglato, liofilizzato, multietilico, streetlinguistico, rapperfunky, dancefloor, ethnic-tribal, convinti che pure, un tempo noi ‘vintage’ lo abbiamo posseduto, se mai ci è appartenuto (?), caparbi a non condividerlo con nessuno, in particolar modo con loro, figli (de)generati da noi stessi. Tali ormai da pressarci in costante ‘mobbing’ perché gli AcuFenidi pretendono che dobbiamo assolutamente lasciare loro lo spazio di cui necessitano perché è così che da sempre va il mondo. I figli sostituiscono i padri, e fanno come gli pare.

 

“C’è qualcosa di terribilmente ingiusto nel fatto che siano i vivi (si fa per dire) ascrivere la storia, perché i vivi non sono, necessariamente, i vincitori” – afferma Rodrigo Fresán (*) lo scrittore argentino che in un suo libro ha riportato all’attualità la sindrome di Peter Pan, con tutte le sue conseguenze.

 

“Io mi riferisco a un’altra cosa che non riguarda tanto questa o quell’età, ma il poter essere pienamente consapevoli del preciso istante in cui la vita smette di essere vita e comincia a essere morte. Il secondo zero (2.0) nel quale sei a metà del corridoio e una porta si chiude alle tue spalle e un’altra ti si apre davanti e, di colpo, l’infanzia e la vecchiaia acquistano lo stesso grado di irrealtà, di finzione. Quello che è stato e quello che sarà sono scritti nello stesso stile esitante, con errori di ortografia e sintassi. È allora che il mito calante dell’infanzia (del mondo) coincide con la leggenda (dell’eternità) crescente della vecchiaia, e tu sei lì, a domandarti 'che ora è?' senza avere nessuna voglia di guardare l’orologio (paura), e con l’irrefrenabile necessità di trovare un bambino che non abbia ancora imparato a leggere, a dire l’ora, per chiedere a lui che ora è, e credere per sempre (l’illusione) a quel che ti risponderà, e non usare mai più, né mai più avere bisogno di un orologio”.

 

“Siete tutti d’accordo vero, è così che stanno messe le cose della vita?” “Se non sapete dove andare, potreste sempre andare tutti a ‘V-Day’, non vi pare?” – risponde l’AcuFeno senza orologio al quale ho chiesto l’indicazione di dove sarei dovuto andare, se lui occupava il passaggio pedonale.

 

Dalle facce che osservo intorno a me non mi sembra che la domanda abbia possibilità di raggiungere un quorum elevato di risposte affermative. Tuttavia dobbiamo ammettere che, visto come vanno le ‘cose’, essere d’accordo o meno, non fa la differenza, in fondo le ‘cose’ stanno messe così come stanno, cioè messi i contrasti ciò che avanza finirà comunque in mano loro, degli AcuFenidi. Allora sì che per noi arriveranno i guai, in quanto accettare una nostra resa in cambio di ‘mantenerci in vita’ in ogni caso non gli sarà facile. Perché non abbiamo valutato (?), misurato (?), controllato (?); perché non abbiamo … Perché semplicemente abbiamo trascurato, sottovalutato, inibito, vietato, chiuso loro tutte le porte di accesso, perché credevamo (?) in che cosa … Non è dato sapere.

 

Ma è un falso storico, Noi come Loro non abbiamo mai creduto a un cazzo di niente, il nostro credo è sempre stato finzione, illusione, abbaglio, ipocrisia. Sostenere che credevamo di fare tutto ‘per bene’, ‘al meglio’, per il sostentamento dei figli, per la sopravvivenza dell’umanità, per … Per lasciare che il pianeta esploda in mano Loro, nelle mani dei nostri figli, ècco che cosa abbiamo fatto. Avete provato a cercare una qualsiasi ragione del perché siamo stati così infami? Del perché siamo ancora così infami da voler imporre Loro i nostri dubbi, le nostre preoccupazioni, il nostro credo, le nostre paure? Perché di questo si tratta e, come volevasi dimostrare, adesso non troviamo una spiegazione, non dico logica o quantomeno razionale, ma neppure trascendente o in qualche modo spirituale.

 

“Sì, certo, si è sempre divertito il Tiranno a schernire l’imparziale dose delle necessità, a procreare despoti infiniti, a prendere possesso di feudi assillanti: neon pubblicità auto / pubblicità plastica computer; / nel sintetismo linguistico artificiale ch’egli conduce: plastica plastica plastica / neon computer computer / auto auto pubblicità. / Nel contesto della quotidiana egemonia gioca il tiranno al dominio delle cose: scarpe auto ufficio auto ufficio / auto pubblicità / web tv radio pubblicità / internet face book twitter / i-Pad Tablet / pubblicità a combattere il supplizio inferto / nelle sabbie mobili del mito / nella contemplazione delle cose astratte” (**).

 

Così abbondano i testimoni che giurano di averli visti ma che loro non ne fanno parte. Uomini e donne che insistono e concordano nell’affermare che trattasi di un’incontro casuale, al di fuori delle previsioni. Io mi spingo oltre, ho una mia teoria forse più inquietante che demolisce il fascino del ‘caso’ per qualcosa di più interessato e calcolato: l’avidità di trattenere a sé quello che fin qui è stato in loro potere, nell’egoismo di cedere quanto comunque andrebbe perduto, smembrato, disatteso del loro patrimonio, nella successione. Ma gli AcuFenidi hanno una loro strategia di mercato, non barattano, quello che vogliono se lo prendono nel modo più semplice che esiste: rinunciando all’eredità, all’esperienza, sia dei FENIDI Plus che di tutti gli altri che si ostinano nell’indecisione del futuro, della necessità di capire il presente, di essere capiti.

 

“Non c’è metodo più efficace per ottenere ciò che si vuole – scrive il mio nemico/amico argentino Rodrigo Fresán – non c’è modo più perfetto di vincere, che dichiararsi vinti (cioè fuori dal gioco degli AcuFenidi) e guadagnarsi l’affetto (che non può essere che la dispotica arroganza di tutti noi) del vincitore”.

 

Un po’ come andare dal salumiere e chiedere mezz’etto di quello, quand’è il salame che si vuole.

“Quello, non quella!”

“Allora, c’è qui del buon prosciutto dolce di Parma, un ottimo culatello, della mortadella suprema, otto tipi di salami … vado avanti?”

“Ecco quello.”

“Tutti?”

“Non esageriamo, quello.”

“Senta c’è da aspettare molto?” – chiede un AcuFeno spazientito che vuole un panino. “No, il tempo che do del ‘salame’ al signore!” – risponde il Fenido dietro il bancone.

 

 

È lì che gli AcuFenidi si ritrovano, fateci caso, all’angolo d’ogni strada con i paninari, i breacker, gli uploaded, i …

 

“Ehi Nick, che fai scendi, o vuoi che saliamo noi?” – stride la voce nel citofono.

“Noi chi?”

“Dai Nick non fare il ‘favello’!”

“Noi Nick, noi!”

“Nicola non c’è, sono suo padre!”

“Ah, suo padre, il paparino, il papi, quel ciù ciù di papà …”

“C’è dell’altro?”

“Sì, che il paparino regala un i-Pad al ragazzino / e noi glielo grattiamo / perché gli andrebbe insegnato / che non si regala un i-Pad al ragazzino. / A meno che il paparino non condivida l’idea di fare lo scortichino / e lasci che il ragazzino se la veda solino / di dividere il suo col nostro spilucchino / …”

“Ma che vuol dire?”

“Che sei un coglione!”

“Due, grazie!”

“Come coglione + coglione?”

 

Mi prendo del ‘coglione’ e chiudo la connessione, ma quando mi affaccio alla finestra sento uno stridere di gomme d’auto e alcuni motorini che partono a tutto gas. Mio figlio Nicola (Nick) esce dal bagno con le cuffiette incorporate e rifà il verso a J-AX.

 

“Nicola ma sei qui?”

“Esco.”

“Volevo dirti che …”

“Pa, non adesso.”

“Ti hanno cercato i tuoi …”

“Non ho tempo …”

“Devo ammettere che J-Ax spacca” – nel senso che fende, scava, disgiunge il cervello, ancor più rompe i …”

 

L’indomani andando in ufficio mi guardo attorno e incomincio ad elencare tutti i Feni che vedo in giro con il chewing-gum e le cuffiette alle orecchie, che calzano giubbini scarpe Nike, Diadora, Puma di ogni fatta e ogni colore che si limitano a parlare di pallone, di quello che hanno fatto (un cazzo) durante il week-end, dei problemi dei loro figli e della ‘rottura’ dei mestieri domestici, dell’auto che li ha lasciati in mezzo di strada … quando arriva un baldanzoso Fenidi Plus di collega che vuole rifilarmi la sua polizza assicurativa.

 

“Allora, la firmi o no questa polizza? Ti prometto il massimo della copertura!”

“Cioè che mi mandi in paradiso?”

 

Meglio leggere le clausole scritte in piccolo sul contratto messianico prima di firmare. “Non vi pare?”

 

(*) Rodrigo Fresán “I Giardini di Kensington” – Mondadori 2006

(**) L’autore.


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