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Il Nastro Azzurro

di Maria Caruso
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Pubblicato il 13/02/2015 22:39:36

Mi chiamo Roberto, adesso ho trent’anni e sono uscito da una Comunità per tossicodipendenti tre anni fa, da ragazzo mi sono fatto travolgere e coinvolgere da amicizie poco raccomandabili diventando eroinomane; i miei genitori naturalmente hanno molto sofferto per la mia situazione.
Mio padre in particolare uomo onesto e di sani principi provava vergogna nell’avere un figlio come me.
Poco prima di uscire dalla mia Comunità ero incerto se tornare a casa o cercare ventura in altri luoghi per paura della reazione di mio padre nei miei confronti, figlio ritornato dalla droga per cui decido di scrivergli una lettera poco prima del giorno della mia completa riabilitazione:
“Caro Babbo, so di aver sbagliato per aver avuto un comportamento così distante dai tuoi principi. Questi tre anni in Comunità mi hanno portato a riflettere sul mio stato e so quanto deve essere stato doloroso per te sopportare questa croce anche per la gente del posto, per i nostri familiari e per le persone a noi vicine. Vorrei tanto tornare per abbracciarti e per chiederti perdono ma non so se tu mi vorrai ancora ricevere e accogliere tra le braccia. Non voglio saperlo adesso, ti chiedo solo di mettere un nastro azzurro alla fermata del pullman vicino a casa nostra, così in quel caso io saprò di scendere o altrimenti continuerò la corsa fino al capolinea. Torno il diciotto di maggio. Ti abbraccia tuo figlio Roberto”.
Il giorno fatidico esco dalla Comunità e prendo il bus di linea che mi porta da Pisa a Pontedera. Ero triste e in pena poiché non sapevo ancora la fine della storia della mia vita e la piega che avrebbe potuto prendere nel caso non avessi visto quel nastro azzurro alla fermata di casa mia.
Mi siedo accanto a un ragazzo circa della mia età e ci scambiamo due parole di saluto, racconto tutta la mia storia, anche se è per me uno sconosciuto ma forse per questo più facile. Eravamo quasi giunti a Cascina e improvvisamente gli chiedo un enorme favore giacché sarebbe sceso dopo la mia fermata:
“Io non voglio guardare, se vedi il fiocco azzurro… chiamami quando arriviamo alla fermata di casa mia…”.
Accovacciato con la testa fra le gambe per evitare di pensare e sperando di far passare il tempo più velocemente possibile aspettavo la sentenza. Dopo una decina di minuti il mio compagno di viaggio mi chiama:
“Roberto… guarda!”.
Ed io:
“No... è troppo presto non siamo ancora a casa mia… Non voglio guardare niente!”.
Ma lui:
“Roberto guarda!”.
Scuotendo la testa: “No… per favore non voglio guardare niente… non ho lo spirito adatto”.
Insiste:
“Roberto… ma guarda… per favore…!”.
Decido di dargli retta. Noi eravamo giunti lungo il viale di Fornacette…, non credevo ai miei occhi… Cominciai a piangere senza riserbo.
Ogni albero che scorreva davanti a me era imbavagliato da un enorme fiocco azzurro.
Con gli occhi gonfi di commozione e con il cuore imbevuto di emozione rivedo mio padre insieme a mia madre, alla fermata del pullman, a due passi da casa, con un lungo nastro azzurro che tendendomi le braccia mi bacia e mi abbraccia con tutta la forza posseduta.
Sono di nuovo a casa adesso, libero da ogni schiavitù e dipendenza, ho un nuovo lavoro che mi riporta a prendere il bus da Pontedera a Cascina tutti i giorni.
Ogni volta ripercorrendo il viale alberato, non posso fare a meno di piangere sommessamente. Niente del passato si dimentica e attraverso questo viaggio giornaliero con il pullman tengo bene a mente gli insegnamenti ricevuti e quanto valore hanno la vita e le persone amate.

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