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La botte di ferro

di Paolo Dapporto
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Pubblicato il 17/02/2015 23:03:19

La botte di ferro

 

 

Il dottor Fiorelli, giovane psicanalista, era stato chiamato dalla casa di riposo “Villa Maddalena” per fornire un quadro sulla salute mentale dei ricoverati. Il direttore voleva dare un tocco di modernità alla struttura che, anno dopo anno, si stava svalutando, come era facile verificare dal numero dei clienti in continua diminuzione. Dava la colpa alle badanti straniere: puttane che sfruttano gli ultimi barlumi di vecchi rincoglioniti e qualche volta se li sposano.

Dieci visite in una mattina. Già da quel numero, il dottore si rese conto della superficialità del lavoro che gli veniva richiesto.

Il primo cliente era una donna grassa e trascurata, come sanno esserlo solo certe vecchie quando vengono lasciate sole. Si rifiutò di rispondere alle domande del dottore. Pensava che fosse un prete, di quelli moderni. Disse solo una frase:

«Io coi preti ci parlo solo se hanno la tonaca addosso.»

Poi fu la volta di un uomo che si era presentato in pigiama, ciabatte e barba lunga di una settimana.

«O bellino! E proprio a te lo vengo a dire» rispose alla domanda del dottore prima di ritornarsene da dove era venuto.

Mentre si rigirava sconcertato la penna tra le mani, il dottore sentì bussare educatamente alla porta e vide affacciarsi un uomo sulla settantina, magro, piccolo di statura, vestito con giacca e cravatta.

«Sono Ugo Cianchi, dottore. Il direttore mi ha detto che lei mi vuole parlare.»

«Si accomodi, signor Cianchi. Solo alcune domande di routine.»

«Mi dica, dottore.»

«Ecco, vorrei mi spiegasse il motivo per cui lei ha scelto di usufruire dei servizi di questa struttura.»

«È una storia lunga, ma se vuole gliela racconto volentieri.»

Il dottore dette un’occhiata rapida all’orologio e fece cenno di sì con la testa.

«Comincerò da quando sono venuto in pensione, circa tre anni fa. Andava tutto bene, la mia pensione e quella di mia moglie ci bastavano per vivere tranquilli. Ero proprietario di una bella casa, una bifamiliare, in una cittadina qui vicino. Nell’appartamento di sotto stavamo noi, mentre in quello di sopra avevo sistemato mia figlia Anna con suo marito Sergio e mio nipote Jacopo, un ragazzo di sedici anni. Mi sentivo al sicuro, in una botte di ferro, come si dice dalle nostre parti. Poco dopo però mia moglie si è ammalata. Un cancro di quelli incurabili se l’è portata via in pochi mesi. Sono rimasto solo in quella casa grande, ma mi sono ripreso presto.»

«Non è facile trovare la forza e la voglia di vivere quando si rimane soli a una certa età.»

«Vede dottore, in realtà non ero rimasto proprio solo, perché da un po’ di tempo io avevo un’altra donna, quindici anni più giovane di me. Le confesso che la morte di mia moglie mi ha procurato quasi un senso di sollievo, di libertà. Mi aveva lasciato campo libero, non avevo più bisogno di trovare le solite scuse per uscire, che poi una moglie lo capisce benissimo che hai un’amante, anche se la mia, di moglie, chiudeva gli occhi per non vedere.»

«Ma allora, dopo la morte di sua moglie, era tutto sistemato. Se anche quella donna era libera, potevate sposarvi.»

«Sì, sì, Mirella era libera, divorziata da diversi anni con due figli grandi, sposati, che vivevano per conto loro. Il vero problema erano le persone che stavano al piano di sopra, nella mia casa, mia e solo mia. Circa un anno fa, diversi mesi dopo la morte di mia moglie, mi sono fatto coraggio e ho portato Mirella a casa per farla conoscere a figlia, genero e nipote. Appena l’hanno vista, sono rimasti sconcertati. Si aspettavano una donna anziana, come la mia povera moglie, e invece si sono trovati davanti una donna ancora giovanile, due belle poppe e un bel culo, mi scusi dottore! Sembrava quasi più giovane di mia figlia Anna. L’hanno trattata con freddezza e arroganza, come se lei fosse stata una poco di buono, una rovina-famiglie, capito? Mirella si è offesa e non ha più voluto mettere piede in casa mia. Meno male che anche lei aveva un appartamentino tutto suo, dove spesso mi trattenevo anche la notte. Io sarei stato disposto ad andare a vivere in casa sua, ma i suoi figli non erano d’accordo. Ma è mai possibile che nessuno si faccia i cazzi suoi! Mi scusi, dottore, per la volgarità, ma la situazione era insopportabile. Come se gli anziani non avessero il diritto di vivere la propria vita da persone libere. Lei è giovane e non può averlo provato, ma da vecchi si ha ancora più voglia di nuove emozioni, del profumo della pelle di una donna, quel profumo che odora di peccato.»

«Io posso capire, anche se non l’approvo, l'atteggiamento di sua figlia e dei figli di Mirella, ma suo genero e suo nipote...»

«Ha proprio ragione. Li ospitavo in casa mia, non gli facevo pagare l’affitto, e loro mi ripagavano così. Il peggiore era Jacopo, mio nipote. È sempre stato un ragazzo irritante, fin da piccolo. Viziato, bizzoso, mi cercava solo quando voleva qualcosa in regalo o aveva bisogno di soldi. Quando ha raggiunto l’età del motorino, gliel’ho comprato io, mica i genitori. Per ringraziamento me lo lasciava proprio davanti al garage, tanto che per uscire dovevo fare manovre incredibili. In casa teneva il volume della sua musica così alto, che, se volevo riposarmi nel pomeriggio, mi dovevo mettere i tappi nelle orecchie.»

«Strano. I nipoti sono affezionati ai nonni.»

«Lei non conosce Jacopo. Quel ragazzo è una bestia. Va a scuola ma non studia. Ora che frequenta le superiori, gli ci vogliono due anni per superarne uno. Ma lui se ne frega e, se qualcuno gli dice qualcosa, gli risponde di farsi i cazzi suoi.

«Ma lei mi ha chiesto perché sono qui, in un ospizio, e vengo subito al punto. Circa sei mesi fa, si era all’inizio dell’estate, quelli di sopra mi hanno invitato a cena nel loro appartamento. Un evento strano perché non mi invitavano mai. Mia figlia e mio genero erano particolarmente gentili, mentre Jacopo non mi degnava neppure di uno sguardo. Non si era ancora finito di cenare, quando si è alzato ed è uscito di casa. Si è sentito forte il rumore del motorino truccato.

«Mia figlia ha cominciato a chiedermi se stavo bene di salute, se facevo i controlli medici, se mi sentivo solo in quella casa grande che avevo, facendo finta di dimenticarsi che una donna, anche giovane, io ce l’avevo e che con questa donna io ci facevo all’amore diverse volte alla settimana, non come lei che, con quel torsolo di marito, ci scommetto che ci farà l’amore una volta al mese ad andarle bene. Si è proposta anche di accompagnarmi per una visita di controllo presso un medico di sua conoscenza.

«Poi è stata la volta di Sergio, il torsolo, a parlarmi con un tono di voce suadente, dopo avermi messo una mano sulla spalla. Mi ha chiamato babbo, e questo mi ha fatto andare subito in bestia. Io non sono il babbo tuo, deficiente! Come avrà fatto mia figlia a innamorarsi di te, per me è stato sempre un mistero. Dopo avermi chiamato babbo, ha tirato fuori un discorso strano che non mi è piaciuto per niente.

«Mi ha detto che tra un mese sarebbero andati in vacanza, menomale, così vi levate per un po’ dai coglioni. E portatevi via anche Jacopo, che sarebbero stati in pensiero per me, così tutto solo in città, e ridagli con questo solo, per cui forse sarebbe stato meglio se in quel periodo fossi andato in una pensione, o pensionato, ma che ero diventato, un cane? Ha aggiunto che era pericoloso guidare l’automobile alla mia età. Ora che Jacopo aveva diciott’anni, la mia macchina potevo darla a lui, piuttosto la bruciavo. Io non ho replicato, ho preso l’uscio, sono ritornato giù e mi sono messo a letto, rimuginando sulle loro parole in cui intravedevo un’oscura minaccia.

«Il giorno dopo ne ho parlato con Mirella a casa sua. Mi ha detto di non preoccuparmi, perché, con la mia pensione e la mia casa, ero in una botte di ferro. Ha lasciato cadere subito l’argomento, perché aveva furia di fare l’amore.»

«Mirella aveva ragione. Non vedo che cosa potessero farle i suoi parenti.»

«L’ho capito alcuni giorni dopo, quando, facendo manovra per uscire dal garage, ho urtato lo scooter di Jacopo che, come al solito, era parcheggiato lì davanti. Appena mio nipote ha visto il suo scooter ammaccato, ha cominciato a offendermi, a dirmi che ero un vecchio rincoglionito, che non sapevo guidare, e che era più bravo lui anche se la patente ancora non ce l’aveva, era già bocciato due volte all’esame di teoria e secondo me la patente non la prenderà mai. Fin qui, nulla di nuovo, ma è stato il termine che ha usato subito dopo a farmi drizzare le antenne: mi ha detto che ero un vecchio da interdire. Ho fatto finta di niente, ma ho capito il gioco dei suoi genitori. Jacopo si era tradito con una parola che, conoscendo il tipo, poteva aver sentito solo in casa. I miei parenti mi volevano interdire, prendermi casa, macchina e mettermi in un ospizio per vecchi.»

«Ma non è così semplice interdire una persona sana e lucida come lei.»

«Lei non conosce mia figlia e mio genero. Sono capaci di tutto, di inventarsi chissà che cosa. Poi c’era la storia con Mirella. Per un medico o un giudice, la storia di un vecchio che sta con una donna più giovane è vista sempre con sospetto. Pensano subito che la donna si voglia approfittare di lui per portargli via tutto quello che possiede.

«Dopo la scena con mio nipote, ho cominciato a tremare, più per la rabbia che per la paura di quello che mi poteva succedere.»

«L’ira è una brutta bestia. Fa perdere il filo della ragione.»

«Se mi fossi fatto vincere dall’ira, come l’ha chiamata lei, sarei volato su per le scale e gliene avrei dette di tutti i colori a quegli ingrati. E se Jacopo si fosse messo nel mezzo, gli avrei dato anche uno schiaffo. Era da tanto che avevo quella voglia. Dallo stomaco mi saliva su per l’esofago un liquido acido che mi arrivava fin dentro la gola. Sono rientrato in casa e sono corso in bagno per vomitare. Poi mi sono steso sul letto e ho cercato di ragionare. Mi conveniva reprimere quella rabbia che mi bruciava lo stomaco, altrimenti avrei sciupato il vantaggio che mi aveva dato Jacopo con le sue parole: io sapevo, ma loro non sapevano che io sapevo.

«Quando sono partiti tutti per il mare, anche Jacopo, mi sono recato in un’agenzia e ho messo in vendita la palazzina bifamiliare. Quindi mi sono informato sulle case di cura per anziani e mi è stata consigliata questa Villa Maddalena. Ho preso la macchina, quella Punto rossa che avrà visto nel parcheggio, e sono venuto a parlare col direttore. Gli avrei pagato anche più della retta normale, perché, con la mia pensione e con la vendita della casa, avrei avuto soldi sufficienti per il resto della mia vita. Però esigevo un trattamento speciale: stanza singola, vitto abbondante e libertà di uscire anche per tutta la notte, perché la notte io vado a fare l’amore con Mirella. Il direttore, appena ha sentito parlare di soldi extra, ha accettato senza fiatare. L’agenzia ha trovato subito un compratore per la mia bifamiliare e la vendita è stata conclusa mentre i miei cari parenti erano tranquilli al mare. Quando sono rientrati dalle vacanze, dall’appartamento di sopra avevo già fatto togliere i mobili, miei anche quelli. Vedesse le loro facce, quando hanno realizzato che dovevano cercarsi una casa in affitto.»

Il dottor Fiorelli guardò l’uomo che aveva davanti con uno sguardo tra l’incredulo e l’ammirato. Aveva un’ultima domanda.

«Signor Cianchi, mi tolga una curiosità. Perché ha scelto di vivere in una casa per anziani, invece che in una pensione normale?»

«Caro dottore, ho pensato a tutto. Qui ci sono medici e infermieri, ventiquattr’ore su ventiquattro. Con l’età che ho e con la vita che faccio» Ugo strizzò l’occhio al dottor Fiorelli «non si sa mai quello che mi può capitare. Ora sto cercando di convincere Mirella a vendere il suo appartamento e venire a vivere qui. Lei fa un po’ di resistenza. Dice che è troppo giovane per l’ospizio, ma il direttore mi ha assicurato che per lui va bene. Se gli diamo un altro extra, ci sistema in una camera matrimoniale e la sera viene anche a rimboccarci le coperte. È Villa Maddalena, dottore, la nostra botte di ferro.»


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