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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore č soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sfogliando ... Ismail Kadare

di Giorgio Mancinelli (Biografia)

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Pubblicato il 23/11/2014 18:06:32

ISMAIL KADARE, Argirocastro, cittą dell'Albania meridionale;

č uno scrittore, poeta e saggista albanese, laureatosi alla Facoltą di Storia e Filologia presso l'Universitą di Tirana e in seguito presso l'Istituto Gorki a Mosca. Costretto ad abbandonare gli studi a causa del rapporto diplomatico complicato con l'Unione Sovietica, fece ritorno in patria dove iniziņ la carriera di giornalista in una rivista nota nel paese come Drita (‘Luce’); in breve tempo divenne noto e passņ alla direzione della rivista Les letres albanaises. Inizialmente si dedicņ alla poesia, passione che aveva fin da liceale, allorquando diede alle stampe varie raccolte di successo. Nel 1963 scrisse il suo primo romanzo: “Il generale dell'armata morta”, il Negli anni settanta forma un trio con altri poeti albanesi, che elevarono in alto la poesia nel paese, ma limitandosi solo nella madre patria. Nel 1990 per esprimere pubblicamente a livello internazionale la propria disapprovazione nei confronti dell'immobilitą della dirigenza comunista albanese, ha chiesto e ottenuto asilo politico in Francia, dove č noto anche come Ismail Kadaré. Attualmente la sua vita divisa tra Tirana e Parigi. La sua opera letteraria č molto variegata, ma i contributi maggiori sono nel campo della poesia e del romanzo. Nel 1993 vince il Premio Mediterraneo per stranieri con La Pyramide. Dal 1996 č membro associato a vita dell'Académie des sciences morales et politiques, dove ha preso il posto che era stato di Karl Popper. Nel 2005 gli fu riconosciuta la prima edizione del Internationalen Booker Prize, e nel 2009 vince il premio Principe delle Asturie per la letteratura. Nello stesso anno gli č stata conferita la Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale dall'Universitą di Palermo, voluto fortemente dagli arbėreshė di Piana degli Albanesi. Č stato pił volte candidato alla selezione finale per il Premio Nobel, ed č membro d'onore all'Accademia Francese. Sue raccolte di poesie pił conosciute non tutte tradotte in italiano: “Le ispirazioni giovanili” (1954); “Perché pensano queste montagne” (1964); “Il tempo”; “Gocce di pioggia caddero sul vetro” (2003).

Le poesie qui di seguito riportate sono tratte da: “Poezi Pėr Dashurinė e Humbur” (“Poesie per l’amore perduto”), in entrambe le lingue, per gentile concessione della prof.ssa Suzana Spaho che ringraziamo vivamente.

“Edhe Kur Kujtesa”

E dhe kur kujtesa ime e lodhur
Ashtu si ato tramvajet e pasmesnatės
Vetėm nė stacionet kryesore do tė ndalojė,
Une ty s'do tė harroj.

Do tė kujtoj
Mbrėmjen e heshtur, tė pafund tė syve tė tu,
Dėnesėn e mbytur, rrėzuar mbi supin tim
Si njė dėborė e pashkundshme.

Ndarja erdhi
Po iki larg teje...
Asgjė e jashtėzakonshme,
Veē ndonjė nate
Gishtat e dikujt do tė mpleksen nė flokėt e tu
Me tė largėtit gishtat e mi, me kilometra tė gjatė...


“Anche quando la memoria”

Anche quando la mia memoria fosse stanca
come quei tram dopo mezzanotte
che fermano solo nelle principali stazioni,
Io non ti dimenticherņ.

Ricorderņ
la silenziosa serata, infinita nei tuoi occhi,
il singhiozzo soffocato, caduto sulla mia spalla
come la perpetua neve.

L’addio č arrivato
me ne vado lontano da te …
Nulla di eccezionale,
solo qualche sera
le dita di qualcun altro, si intrecceranno tra i tuoi capelli
con le mie dita, chilometri lontane …


“Kristal”

Ka kohė qė s'shihemi dhe ndjej
si tė harroj une dalėngadal
si vdes tek une kujtimi yt
si vdesin flokėt dhe gjithēka.

tani kėrkoj poshtė e lartė
njė vend ku ty tė tė lėshoj
nje strofė a notė, a njė brilant
ku tė tė lė, tė puth, tė shkoj.

nė s'tė pranoftė asnjė varr
asnjė mermer, a morg kristal
mos duhet vallė prapė tė tė mbart
gjysėm tė vdekur, gjysėm tė gjallė.

nė s'gjetsha hon ku tė tė hedh
do gjej njė fushė a njė lulnajė
ku butėsisht porsi polen
gjithkund, gjithkund tė tė shpėrndajė.

tė tė mashtroj ndoshta kėshtu
dhe tė tė puth tė ik pa kthim
dhe nuk do dine as ne askush
harim ish ky a s'ish harim.

“Cristallo”

Da tempo non ci vediamo e sento
come pian - piano ti dimentico
come muore il tuo ricordo in me
come muoiono i capelli e ogni cosa.

Adesso cerco in gił e in su
un posto dove lasciarti
una strofa o una nota, oppure un brillante
dove posarti, baciarti, vederti.

E se nessuna tomba ti accetterą
troverņ una pianura o un oasi di fiori
dove posarti dolcemente come polena
ovunque, ovunque ti dispenso..

Ingannandoti, ma forse cosģ
potrei baciarti andandomene senza ritorno
e non si saprą mai né da noi né da altri
se la dimenticanza č questa oppure no.

“Nena”

Ne mbremje u kthye ai ne shtepi
i lodhur, i ngrysur, me traktet ne gji.

Mesnates se shurdher, se erret, se shkret'
do ngjise ai traktet kudo ne qytet.

-Mesnates ti sonte, o nene, me zgjo!
-Mir', biri nenes, fli, bir! – tha ajo.

Ai si i vdekur ne gjume! ra pastaj
dhe nena mbi te nuk i ndan syte e saj.

Shikon ajo traktet dhe lutet mbi te
(Fli, biri i nenes, se ora s'eshte nje.)

Akrepi leviz, me ngadale leviz
pas perdesh, pas xhamash: e zeze nata pis.

Ne enderr ai buzeqesh e po sheh,
nje fushe te bukur, nje qiell pa re.

Dhe nena e tij me te bardha vallezon,
ne fushe te sahatit me dore tregon.

Akoma akrepi s'ka shkuar ne nje,
ndaj nena s'e zgjon, ndaj akoma po fle.

Por befas ne fushe u degjua qe larg
nje krisme perreth: trak a trak, trak a trak!

Dhe nena u zhduk si ne mjegull atje,
sahati i thyer sec ra permbi dhe.

I mbytur ne djerse u zgjua ai
(O nene), dhe doren e vuri ne gji.

Atje trakte s'ka. (O nene ku je!)
Pas perdesh, pas xhamash po gdhin dite e re.

(O nene!), por nena nuk eshte me perqark
diku mitralozi troket: trak a trak!

Dicka neper mendte atij shpejt I erdh'
u hodh drejt nga porta: kuptoi e u zverdh.

Ne dor' revolverin, ne rrugen e shkret'
vrapoi n'erresire, kudo ne qytet.

(O nene, o nene, o nene, ku je!!!!)
Ja, zbardhin mbi mure ca trakte atje.

Vrapon, po nuk duket gjekundi ajo,
…(Ndal!) ndihet tek-tuk. Vrapo shpejt! Vrapo!

N'agim afer pyllit, ne an' te nje perroi
pas drureve ai u mbeshtet e vajtoi.

…Qe biri te flinte i qete gjer n'agim,
mesnata per nenen s'do kete mbarim.


“La Madre”

Quella sera lui tornņ a casa
Sfinito, rabbuiato, con i manifesti nel petto.

A mezzanotte, sorda, oscura, desolata,
Avrebbe attaccato i manifesti ovunque nella cittą.

– A mezzanotte, madre, svegliami!
– Va bene, figlio mio, dormi! – disse lei.

Lui come un morto dormģ,
E la madre su di lui non staccava gli occhi.

Vede i manifesti e prega su di lui
(Dormi, figlio mio, ancora non č mezzanotte.)

Le lancette girano lentamente
Dietro le tende, il vetro: la nera notte peste.

Nel sogno lui sorride, e sogna
Una bella pianura, un cielo senza nuvole.

E sua madre vestita di bianco che balla,
Nel quadrante dell’orologio, lei con la mano indica.

Le lancette ancora non segnano la mezzanotte,
Perciņ la madre non lo sveglia, ancora dorme.

All’improvviso da lontano, nella pianura si sentģ
Attorno un colpo: trak a trak, trak a trak!

E la madre, come la nebbia, sparisce lģ,
L’orologio rotto cade sulla terra.

Sprofondato nel sudore, si svegliņ
(Madre!), e lui mette la mano sul petto.

Niente manifesti! (Madre dove sei!)
Dietro le tende, dietro il vetro un nuovo giorno nasce.

(Madre!), ma lei non c’č.
Da qualche parte il mitra colpisce ancora: trak a trak!

Lui intuģ subito qualcosa
Verso la porta corse: capģ e impallidģ.

Con in mano la pistola, per le strade desolate
Corse nel buio, per tutta la cittą.

(Madre, madre, madre, dove sei!?)
Ed ecco all’alba, qualche manifesto vede affisso sui i muri.

Corre, ma lei non si vede,
(Alt!) si sente qua e lą. Corri, pił veloce corri!

All’alba, vicino alla foresta, sul ciglio di un ruscello
Dietro gli alberi si appoggiņ e pianse.

Che il figlio dormisse pure fino all’alba
La mezzanotte per sua madre mai finirą.

“Ti Qave”

Ti qave dhe me the me zė te ulet
Se une te trajtoja si prostitute.
Athere loteve te tu s'ua vura veshin
Te desha, pa ditur se te desha.

Vec nje mengjes te befte kur u gdhiva
Pa ty dhe bota krejt e zbrazet m'u duk,
Athere kuptova c'kisha humbur,
C'kisha fituar kuptova gjithashtu.

Me rrezellinte si smerald merzitja,
Dhe lumturia ngrysej si nje muzg me re...
Nuk dija ke te zgjidhja nga te dyja
Sepse seicila m'e bukur se tjetra qe.

Se ish i tille ky koleksion bizhush
Qe drite e terr leshonte njekohesisht,
Qe njeqindfish etjen per jeten shtonte,
Por dhe qe vdekjen ndillte njeqindfish.


“Tu piangesti”

Tu piangesti e a bassa voce dicesti
Che io ti tratto come fossi una prostituta.
A quel tempo non feci caso al tuo pianto
Ti amavo senza sapere di amarti.

Solo una mattina, all’improvviso mi svegliai
Senza te e il mondo mi sembrņ vuoto,
Allora capii ciņ che avevo perso
E capii altrettanto che cosa guadagnai.

Brillava su di me come un smeraldo tedioso
E la felicitą si rabbuiņ come il crepuscolo dietro le nubi
Non sapevo scegliere tra le due
Una pił bella dell’altra mi sembrava.

Perché dev’essere cosģ questa collezione di gioielli
Cui la luce e l’orrore la illuminavano allo stesso modo,
Che nel moltiplicare la brama la vita si accentuava
Ma anche la morte altrettanto evocava.










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