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Spugna d’amore

di Amina Narimi
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Pubblicato il 07/09/2014 19:01:16

Mi chiedi se ricordo quando siamo nati.

Posso vedere solo il mondo,

attraverso i tuoi occhi di dolore

e nel piacere, una proiezione di memorie

nella mente. Tuttavia è oltre

quei confini che si stende

una remota immensità di gioia,

ed è una casa quell’amore eterno

dentro la coscienza. c’è la prova

della mia indimostrabile esperienza-

chi altri può se la realtà dell’altro è pari

al suo apparire nella mia esperienza?-

 

Ma non siamo soli nell’essere profondo- amore-

siamo il tutto, quando percepiamo con il niente

il sussurro  delle stelle, siamo il Dio

che non sappiamo nell’essenza,

la spinta indietro che ci fa andare  avanti

consapevoli, da sempre, universali liberi

 

senza confondere il ricordo nella conoscenza

sempre fresca e nuova; è, la nostra ciotola

da mendicanti, d’oro puro, e noi dei miserabili,

finchè non la vediamo : in modo naturale,

portando a brillare la realtà, sinceri,

senza parole per comunicare senza idee-

non puoi mangiare la parola “pane”

immaginando di conoscere

solo ciò che possiamo definire,

se porti alla bocca la realtà c’è amore

con azioni religiose e silenziose, insieme

chiedi, e ti sarà dato-  per non rimanere

un sacco d’ossa nelle citazioni sacre.

 

Ho toccato la materia nella stanza buia

mentre dipingevi  l’intero mondo un quadro,

il pittore Dio, e tu, che contenevi il mondo e lui,

nell’atto di conoscenza  puro essere

quando hai spalancato la finestra

inondandomi di luce a gioia,

stava tutta dalla parte della stanza,

e non del sole, la misura del candore

nell’estasi del dare. Non ho dimenticato

quella luce, di quando siamo nati

non posso ricordare

o attendermi la fine, invece,

perchè non è mai accaduto.

 

Nell’infinito impercettibile di un compito

siamo seme l’uno all’altro aperto

in piena fioritura, siamo gioia,

che di volta in volta vola senza fine,

una ghirlanda di luci, le più intense,

nell’andirivieni  di questo cuore umano,

pagliuzze d’oro, nel palmo della mano

spugna d’amore -che chiamiamo pane,

riducendola in parola-

                         il terreno che l’accoglie

e ama.

 

 


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