c'è sempre la sorpresa che altri
siano già svegli, già in strada, producano rumori
da affanno quotidiano
prima ancora di me, senza di me
che vagheggio di albe pristine e solitarie
su un qualche cliff che precipiti nel mare.
in piedi, il vento che schiaffeggia
la gonna, i capelli un nero groviglio intorno al viso
affilato, non mio, eppure in qualche modo strano
appartenente a me che lo immagino.
così quando sale fin qui il rumore dell'autobus
o lo stridio di qualche macchina vecchia e stanca di vivere
quando sale fino al settimo piano
del mio personale abisso, sgrano gli occhi nocciola
dal centro nero, li sgrano fin quanto consentono
le cicatrici dell'iride, e mi chiedo chi siano,
chi siano questi esseri marini
che si moltiplicano col passare dei minuti,
finché la luce non li riconduce alla loro realtà
di lamiere e motori, pneumatici, claxon ancora timidi
prima dello scatenarsi della furia del giorno.