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La voce dell’universo

di Gaetano Lo Castro
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Pubblicato il 01/09/2015 16:05:50

"Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

e si sazierà della sua conoscenza..."

 

Isaia (53, 11)

 

 

C'era una volta un gitante.

Ch'era ormai senza voce per aver a lungo chiamato. Ma nessuno rispondeva ai richiami. Si sentiva soltanto il silenzio della montagna.

Era bastato attardarsi alcuni minuti per perdere il contatto con la comitiva. Eppure la guida aveva avvertito di non allontanarsi dal gruppo. Appena gli escursionisti erano sbucati dal bosco, si era manifestato un paesaggio da miraggio. Ma mentre gli altri si erano limitati a un'occhiata e avevano proseguito, lui era rimasto ad ammirare la vasta e ammaliante vista. Il suo sguardo rapito si era involato come un uccello. Il vulcano digradava con i boschi verde castagno, le distese laviche nere, i vigneti verde smeraldo, i paesi policromi, le valli variegate, gli agrumeti verde scuro, fino ad arrivare al mare turchino, che si congiungeva col cielo cobalto, che s'univa con la superficie del vulcano. Era un continuum di forme, colori, elementi. Un'unità completa e interagente. Ed era allora sorta una domanda dolorosa. Perché non si sentiva parte di quella unità? Si era scosso, aveva cercato di raggiungere gli altri e si era perso fra i crinali e gli avvallamenti. Aveva tentato di farsi udire, urlando fino a sfiatarsi, ma non aveva ricevuto risposta.

In quel frangente che cosa poteva fare? Certo non cercare di scendere verso il più vicino centro abitato. Non conosceva la montagna e tra non molto sarebbe stato buio. Avrebbe rischiato di precipitare in qualche canalone. Quindi non gli rimaneva che aspettare i soccorsi. Prima o poi si sarebbero accorti della sua scomparsa. La sola cosa che potesse fare era di portarsi in un punto più elevato, per esser facilmente rintracciato. Poteva perfino salire fin sulla sommità del vulcano. Non era molto distante.

Tramonto. Salendo osservò il sole che era sulla vetta della montagna. Stava per penetrare dentro il cratere. Sembrava un enorme zigote sfolgorante che rientrava nel grembo da cui era fuoriuscito, per andare a ricostituire la sua energia vitale quasi esaurita.

Crepuscolo. Sotto i suoi ormai stanchi scarponi la sciara scricchiava. Tutto intorno pareva il paesaggio d'una luna nera. L'erta culminava con la vetta, che si elevava su un cupo e lindo sfondo.

Notte. Era in cima al mondo. Sopra solo il cielo, e sotto tutta la terra. In alto una grande prateria nera, ricoperta di lucciole brillanti. In basso un crespo cielo nero, cosparso di costellazioni scintillanti.

E daccapo quella domanda. Perché...? Silenzio. Fece alcuni passi e fu sul bordo dell'abisso. Scrutò l'oscura voragine. Il grande cratere pareva una buia bocca spalancata che urlava senza voce verso il cielo. Sarebbe bastato soltanto un altro passo e... In quell'istante sentì qualcosa. Era un suono indistinto. Prima che riuscisse a individuarne la provenienza esso cessò. Ma forse lo aveva solamente immaginato, pensò. Levò gli occhi al cielo.

"Perché...?"

La sua voce vibrò nel silenzio disperata. Su, distante, sperduta fra tante altre, una stella attirò la sua attenzione. Un piccolo astro rossastro, che emanava un umile lume nella notte. Tremava, come se si fosse commosso. D'un tratto ebbe un sussulto e, sopra i suoi occhi stupiti, la stella esplose. Da ch'era appena visibile, il minuscolo astro aumentò di magnitudine, finché diventò la più grande e la più bella stella del cielo. E poiché la luna era assente, fu l'astro più splendente del firmamento.

La luce della superba supernova, proveniente dalle profondità remote dello spazio e del tempo, giunse sino a lui. Percepì un intimo contatto, come se quella irradiazione fosse penetrata fin dentro il suo essere. Un tremito percorse il suo corpo. Un sussulto scosse la sua mente. Un lampo abbagliante e il suo io esplose.

Sentì la sua coscienza crescere, sentì la sua essenza espandersi, come se fossero state spezzate delle catene, come se fossero stati distrutti i muri di una prigione. Il suo io, non più confinato all'interno del corpo, si propagò senza vincoli all'esterno, proiettandosi liberamente verso il cielo. E man mano che aumentava acquisiva una più grande e più luminosa consapevolezza di sé, della vita e dell'universo. Un nuovo sentire affluiva al suo essere, una nuova conoscenza arricchiva la sua coscienza. Egli era una vera nova umana. Sentì l'intima comunione della sua natura col cosmo intero, sentì un'incontenibile gioia sovrumana, si sentì saturare da un sapere superiore.

E come per l'abbattimento di un'ultima barriera frapposta dalla materia, ecco d'improvviso dischiudersi e rivelarglisi l'universale linguaggio dello spirito. Comprese la voce del vivo cosmo. La sentì, la vide, vi s'immerse. Era una voce vera e veloce: la luce!

"Il buio è luce che non vedi."

"Il silenzio è suono che non odi."

"La sofferenza è bene che non capisci."

"La morte è vita che non percepisci."

Per un istante estatico il suo essere vibrò sulla stessa lunghezza d'onda della voce. Una vibrazione di purezza e levità, di bellezza e verità. Poi il suo io prese rapidamente a rimpicciolire e offuscarsi, subendo un veloce fenomeno d'implosione, che lo fece ridimensionare fino allo stato iniziale. E di colpo si ritrovò dentro il corpo, ritto sulla vetta del vulcano, il viso rivolto verso le stelle, gli occhi velati di lacrime. L'esperienza mistica si era conclusa. Era durata alcuni secondi, o estesi secoli? Si guardò intorno, cercando di ritrovare il contatto con la consueta realtà. Si sedette sull'orlo del cratere.

In quel mentre riudì il debole rumore di prima. Proveniva dal basso e diveniva sempre più distinto. Pareva il ronzio di un enorme insetto volante del carbonifero. E infatti scorse un insetto abnorme librato nell'aria, che saliva verso di lui. Quando fu più vicino vide che nella testa della locusta ciclopica c'era un grande occhio luminoso, con cui perlustrava le tenebre del terreno sottostante, come se cercasse la propria preda. Sperò d'istinto di sfuggire alla sua ricerca. Ma fu subito colpito dal fascio di luce accecante. La locusta cacciatrice con una veloce virata si portò sopra di lui. Lo aggredì col suo rumore assordante e lo investì col violento spostamento d'aria delle sue ali. Lui si sentì in trappola. Cercò nel cielo con occhi spersi la supernova. La sua luce era ancora visibile, anche se offuscata. Il faro dell'elicottero non aveva eclissato del tutto la sua voce.

S'alzò e si lasciò salvare.

 


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