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In memoria di un grande medico

Argomento: Medicina

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 10/02/2022 12:08:09

Ignác Fülöp Semmelweis (Buda, 1º luglio 1818 – Döbling, 13 agosto 1865) è stato un medico ungherese. La storia della sua vita ci insegna come (basti pensare alla teoria eliocentrica e al geocentrismo), sia molto difficile andare contro quelle che sono le convinzioni della “scienza” del momento. Svolse i suoi studi di medicina presso l'università di Pest e a Vienna. Oggi, per i suoi importanti contributi allo studio delle trasmissioni batteriche da contatto e alla prevenzione della febbre puerperale, è noto anche come “il salvatore delle madri. “ Semmelweis nel 1847 scoprì che, nelle cliniche ostetriche, l'alta incidenza di febbre puerperale poteva essere drasticamente ridotta mediante la disinfezione delle mani. Per questo motivo, nel 2013 l'UNESCO, ha deciso di inserire alcuni documenti sulla scoperta di Semmelweis nel registro della Memoria del mondo.[5] Dal 1969 l'Università di Budapest, che all'epoca della sua morte si chiamava Reale Università ungherese di Scienza, è stata rinominata Università Semmelweis in suo onore. Stiamo parlando di quelli che, al guardarli dall’esterno, possono sembrare elementi di minore importanza, tuttavia sappiamo bene, attualmente (e il covid ce lo sta ulteriormente insegnando), il gesto di lavarsi le mani, può addirittura salvare vite. La propria o altrui. Se non bastassero le nostre convinzioni nate dall’insegnamento della vita, basterebbe, per rendersene convinti, leggere le cifre che Onu e Unicef pubblicizzano sui milioni di morti, specie bambini e specie del Terzo Mondo, “uccisi” ogni anno da mani sporche. Anzi, meglio dire: mani non lavate. Perché lo “sporco”, il microrganismo infettivo può esserci, ma non si vede. Con questo torniamo al nostro medico ungherese di metà Ottocento, che, in un momento di ignoranza della scienza medica, intuì, senza neanche comprendere il perché, la necessità di lavarsi le mani. Che lo facessero i medici, le infermiere e qualsiasi essere umano potesse entrare in contatto diretto con le pazienti. Tuttavia, invece di essere esaltato per gli evidenti risultati, questo medico subì, per la sua scoperta, l’ostracismo brutale dei colleghi. Come per tanti benefattori dell’umanità, la gloria e i riconoscimenti furono postumi. Il dottor Ignaz Semmelweis ,lavorava presso un ospedale di Vienna in ostetricia e notò che in un padiglione, gestito da medici, moltissime donne morivano dopo il parto di sepsi o febbre puerperale (l’11% circa). L’osservazione (il fatto che si morisse più in ospedale che a partorendo a casa), era giunta chiara anche alle partorienti, che si rifiutavano di andare a far nascere “in sicurezza” i loro figli in ospedale. L’altra stranezza notata dal medico era che, in un altro padiglione, dove ad aiutare le donne a partorire erano solo ostetriche, i decessi erano appena l’1%. Il fenomeno doveva apparire in forte contrasto: dunque, se l’intervento al parto era effettuato da una ostetrica, c’erano meno possibilità che si morisse di febbre puerperale, piuttosto che da un dottore? E quale poteva essere la causa di questa paradossale differenza? Il dottor Semmelweis avrebbe potuto trarre una idea già osservando come vestivano i medici nel quadro di Rembrandt che esalta la medicina: abiti neri con ampi colletti bianchi. Niente a che vedere coi camici bianchi attuali che mostrano ogni piccola traccia di eventuale sporco. Tuttavia lo comprese di sua mano, effettuando l’autopsia su un suo caro amico e collega, morto dopo breve malattia. Ebbe modo di notare che nel suo corpo si trovassero le stesse lesioni che si trovavano nelle salme delle puerpere che i medici dell’ospedale dissezionavano come ricerca e prassi normale. In realtà pochi giorni prima, il suo amico si era ferito mentre eseguiva proprio un’autopsia su una neo-mamma. Ecco allora che cosa lo aveva ucciso, ed ecco come si era trasferito il contagio: per contatto. Alle puerpera avveniva esattamente il contrario: accadeva, difatti, che nell’ospedale, medici e studenti passassero direttamente nelle sale parto dopo aver eseguito autopsie e, per quanto oggi la cosa ci appaia strana, nessuno di loro nemmeno si sognava di lavarsi le mani. Semmelweis ebbe una illuminazione: con le mani infettate dalle dissezioni eseguite sulle puerpere morte, gli ignari ginecologi diffondevano il contagio. Ed ecco perché il padiglione condotto dalle ostetriche risultava più salutare. Chiaramente l’illustre (quanto maltrattato) medico, allo scopo di verificare la sua tesi,dispose l’obbligo che colleghi e studenti si disinfettassero le mani con cloruro di calcio prima di entrare in sala parto. Chiaramente il calo delle morti per sepsi fu un vero crollo: era il 1847 e in un anno anche il padiglione dei medici ostetrici si attestò sull’1% di decessi. Vi aspettate che il nostro medico ricevesse il plauso dei colleghi? Che la sua ordinanza di cambiare le lenzuola delle partorienti volta per volta avesse comprensione? In ospedali dove l’acqua corrente nei reparti pareva “inutile”, convincere tutti alla necessità di avere le mani pulite vi fu una rivoluzione, non la sua, ma quella dei colleghi e, in conseguenza, dei paramedici. I medici si dichiararono offesi per essere stati tacciati da untori, per cui si coalizzarono contro di lui e riuscirono a farlo cacciare ben due volte. Il nostro grande salvatore finì in manicomio, dove morì nel 1865. La sua splendida idea non venne accettata e i colleghi di Semmelweis orgogliosamente, continuarono a mostrare il sangue sui colletti bianchi, laddove strofinavano le mani dopo le autopsie e non accettarono affatto di umiliarsi a lavarsi le mani e cambiarsi di camice nel passare dalle autopsie alle puerpere. Ci andarono di sotto le pazienti, che continuarono a morire di febbre puerperale. Passarono quarant’anni - e i lavori di Pasteur sulla contaminazione batterica - perché la geniale intuizione di Ignaz Semmelweis fosse accettata e applicata in modo generalizzato. Nel 1894, il grande medico poté avere un degno monumento funebre eretto dalla città natale di Budapest. Intanto lui era morto. Bianca Fasano


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