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giotto (2)

di Salvatore Solinas
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Pubblicato il 18/12/2014 13:30:24

 

A volte un matrimonio sbagliato è un atterraggio nella solitudine, nella desolazione di un pianeta deserto.

Il viaggio di Giotto continua, così pure il tuo viaggio,

 

 

 

 

 

Indossa o Giotto la livrea nuziale

ardente di carminio l’ora è giunta

Bianca distesa planetaria immota

sposa attendeva al fondo dell’abisso                                        140

"Oh fossi tu fra tutte la circassa

le gote rosa di pudore accesa

del sultano la bella favorita.

sulla tua bianca pelle luminosa

poso il mio corpo livido metallo

sposo fedele sconosciuta sposa

nel tuo gelido abbraccio la mia vita                 

rappresa dorma un sonno senza sogni                                     150

per sempre, in tutto simile alla morte"

Precipitavo in un oscuro tunnel

a tratti rischiarato da violenti                              

rossi bagliori e gialli e verdazzurri

che sfociava in un mare lattescente

d’idrogeno gelato, azzurro mare

ultimo cielo del pianeta, anello

di nuziale consenso immacolato.

Potevo io dormir tra le sue braccia

rabbrividenti senza più memoria                                                      160

senza questo brandello di coscienza

che le appassite antenne i neri schermi

ancora mi lasciavano perduto                   

privato della vita e della morte

nella gelata piana senza tempo?

Come i soffioni innalzano vapori

dai crateri che forano la terra

così una corrente ascensionale

di tiepide molecole di Elio

m’invase, io mi lasciai portare                                                     170

in alto ancora come un palloncino

sfuggito dalla mano di un bambino

nel giorno della fiera, ma i bambini              

laggiù son tutti morti, i loro giochi

sono finiti nell’indifferenza.

Salivo ebbro di luce flottando

più veloce nell’aria incandescente

 fiondato poi nelle nere latebre

dell’Universo, giunsi agli estremi

confini del sistema planetario.                                                       180

Sottili reti, misteriose mani

mi vietavano il passo della soglia,

crudeli spettri con roventi dita

mi sfioravano l’anima i ricordi.

Così rimasi a quella giostra antica

per più d’un anno lunghissimo legato

fino a quando Plutone non nascose

dietro al sole il suo viso ammoniacale.

Era la nostra stella solo un pallido

globo azzurrino in fondo al nero cielo                                          190        

e la terra un piccolissimo punto

forse niente tra le stelle lontane.                                             

 Il limite varcai che all’abisso

s’affacciava tremendo canticchiando

non so quali infantili melodie.

Le stelle rosseggiavano più rade

in fuga verso mete sconosciute

e il cielo lentamente si spegneva

come una nera pietra sepolcrale

Dai più remoti spazi siderali                                                          200 

mi giungevano fasci d’elettroni

ineffabili onde di materia

Come un vecchio rottame naufragato

negli abissi più fondi dove larve

fosforescenti hanno buia dimora

gli astri, grumi schiumosi s’impigliavano

alle morte sartie, muci collosi

lentamente incrostavano lo scafo

da impietose tempeste sconquassato

e nessuno potrebbe immaginare                                                     210

i saloni luminosi, le musiche

raffinate mollezze, l’allegria,

tormentosi ricordi che neppure

il tempo incommensurabilmente

lontano potrebbe mai cancellare.

Inutile rimpianto come sogno

dolce e tormentoso di una notte

d'infinito strazio dove smarrito

il lume della mente si consuma

nella sua luce troppo forte e vera                                                     220

e mai sarà il risveglio mai l'approdo

a una riva sicura in cui posare

in cui la veglia e il sonno si succedono

nel sereno trascorrere dei giorni.                                             

Ora spoglio di tutto mi prostravo

dinanzi all'infinito senza nome

al Nulla eterno che mi circondava

esile stame di fiore infecondo.

In me finiva ogni stirpe, ogni vita

perduta ogni voce ogni silenzio                                                      230

nel monotono murmure del tempo.         

 


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