A volte un matrimonio sbagliato è un atterraggio nella solitudine, nella desolazione di un pianeta deserto.
Il viaggio di Giotto continua, così pure il tuo viaggio,
Indossa o Giotto la livrea nuziale
ardente di carminio l’ora è giunta
Bianca distesa planetaria immota
sposa attendeva al fondo dell’abisso 140
"Oh fossi tu fra tutte la circassa
le gote rosa di pudore accesa
del sultano la bella favorita.
sulla tua bianca pelle luminosa
poso il mio corpo livido metallo
sposo fedele sconosciuta sposa
nel tuo gelido abbraccio la mia vita
rappresa dorma un sonno senza sogni 150
per sempre, in tutto simile alla morte"
Precipitavo in un oscuro tunnel
a tratti rischiarato da violenti
rossi bagliori e gialli e verdazzurri
che sfociava in un mare lattescente
d’idrogeno gelato, azzurro mare
ultimo cielo del pianeta, anello
di nuziale consenso immacolato.
Potevo io dormir tra le sue braccia
rabbrividenti senza più memoria 160
senza questo brandello di coscienza
che le appassite antenne i neri schermi
ancora mi lasciavano perduto
privato della vita e della morte
nella gelata piana senza tempo?
Come i soffioni innalzano vapori
dai crateri che forano la terra
così una corrente ascensionale
di tiepide molecole di Elio
m’invase, io mi lasciai portare 170
in alto ancora come un palloncino
sfuggito dalla mano di un bambino
nel giorno della fiera, ma i bambini
laggiù son tutti morti, i loro giochi
sono finiti nell’indifferenza.
Salivo ebbro di luce flottando
più veloce nell’aria incandescente
fiondato poi nelle nere latebre
dell’Universo, giunsi agli estremi
confini del sistema planetario. 180
Sottili reti, misteriose mani
mi vietavano il passo della soglia,
crudeli spettri con roventi dita
mi sfioravano l’anima i ricordi.
Così rimasi a quella giostra antica
per più d’un anno lunghissimo legato
fino a quando Plutone non nascose
dietro al sole il suo viso ammoniacale.
Era la nostra stella solo un pallido
globo azzurrino in fondo al nero cielo 190
e la terra un piccolissimo punto
forse niente tra le stelle lontane.
Il limite varcai che all’abisso
s’affacciava tremendo canticchiando
non so quali infantili melodie.
Le stelle rosseggiavano più rade
in fuga verso mete sconosciute
e il cielo lentamente si spegneva
come una nera pietra sepolcrale
Dai più remoti spazi siderali 200
mi giungevano fasci d’elettroni
ineffabili onde di materia
Come un vecchio rottame naufragato
negli abissi più fondi dove larve
fosforescenti hanno buia dimora
gli astri, grumi schiumosi s’impigliavano
alle morte sartie, muci collosi
lentamente incrostavano lo scafo
da impietose tempeste sconquassato
e nessuno potrebbe immaginare 210
i saloni luminosi, le musiche
raffinate mollezze, l’allegria,
tormentosi ricordi che neppure
il tempo incommensurabilmente
lontano potrebbe mai cancellare.
Inutile rimpianto come sogno
dolce e tormentoso di una notte
d'infinito strazio dove smarrito
il lume della mente si consuma
nella sua luce troppo forte e vera 220
e mai sarà il risveglio mai l'approdo
a una riva sicura in cui posare
in cui la veglia e il sonno si succedono
nel sereno trascorrere dei giorni.
Ora spoglio di tutto mi prostravo
dinanzi all'infinito senza nome
al Nulla eterno che mi circondava
esile stame di fiore infecondo.
In me finiva ogni stirpe, ogni vita
perduta ogni voce ogni silenzio 230
nel monotono murmure del tempo.
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