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Bella Viola

di Gennarino Ammore
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Pubblicato il 28/02/2016 08:24:16

Entrai al solito supermercato per spendere i miei dieci euro giornalieri in generi alimentari di prima necessità, insomma per farmi un panino magnum da buttar giù con una birretta scura doppio malto. Notai subito che c'era qualcosa di nuovo nel sole, anzi d'antico, ma non erano viole di Pascoliana memoria. Viole no, ma una Viola sì.
I maschi si giravano, al suo passaggio, e anche le donne si giravano, ma in un'altra maniera. Lei ancheggiava, sui suoi tacchi a spillo dodici, come un palmizio davanti al mare sferzato dal vento di libeccio...era troppo bella per quel postaccio. Che ci faceva lì, e come si chiamava? Glielo chiesi, avrei rischiato che il panino mi si piantasse nello stomaco come un chiodo arrugginito se fossi rimasto con quel pensiero per tutta la giornata.
Bella, disse, mi chiamo Bella. Genitori intelligenti, risposi io. Allora la chiamerò Bella Viola, fa molto primavera. Lei sorrise, e cominciò ad ancheggiare diversamente, come la barca di Vincenzino al dolce vento di scirocchetto di levante, ma in maniera più sexy del gozzo in legno del mio fornitore ufficiale di pesce. Certo potevi avere il dubbio che non fosse del tutto naturale quel movimento ritmico di poppa, ma studiato ad arte da Bella per sembrare ancor più Viola di quanto era già per grazia ricevuta da madre natura. Ma come non perdonarla per quel suo vezzo, tutto sommato innocente.
Girava nel mezzo delle corsie alla stessa maniera di una pantera in agguato, seguita dai carrelli, che erano manovrati dagli uomini presenti nel negozio alla maniera di un bolide di formula uno. Alcune mogli strattonavano i mariti con la classica scusa, non c'è niente che ci serve in questo reparto, dove stai andando... ma si sa, ne tira più un pelo di pantera... insomma tutti a cercare per finta prodotti fantomatici, pur di rallentare e restare in posizione privilegiata, in coda a Bella Viola.
Io invece la puntavo con gli occhi spudoratamente, e mi sentivo autorizzato a farlo dal momento che noi due ci eravamo presentati; avevo più diritti degli altri, o no?
Accostavo il mio carrello al suo e depositavo prodotti a casaccio senza guardare che merce era. Avevo già un piano: avrei abbandonato il carrello prima di mettermi in fila alla cassa e mi sarei portato a mano le quattro cose che mi servivano per il mio panino giornaliero.
Improvvisamente lei si voltò, mi guardò sorridendo come solo la testimonial di una pasta dentifricia può fare, e disse divertita:
« Anche lei ha un bebè, vedo... e la mamma dov'è? »
Non ci crederete, quella frase mi scioccò. Cercavo di tradurla, forse era un messaggio segreto a sfondo sessuale, e rimasi imbambolato per un tempo che mi sembrò troppo lungo per restare agganciato a Bella Viola. Mi salvò l'istinto maschile e, senza sapere bene cosa stessi dicendo, azzardai:
« No no... o meglio, sì ma..., cosa intende per bebè, scusi? »
Lei si avvicinò pericolosamente, per il mio equilibrio emotivo intendo, e mi stavo già inebriando del suo profumo. Ero in procinto di entrare in una sorta di coma esistenziale, una confusione di pensiero che avevo provato solo alle scuole medie, quando l'insegnante di storia mi faceva domande sulle due guerre mondiali, proprio a me che di mondiali seguivo solo i campionati di calcio. Annegai i miei occhi semichiusi nel lago dei suoi; non potevo far altro che affondare in quell'azzurro, oltretutto non avevo mai imparato a nuotare nel paradiso del sesso, anche se mi ci tuffavo a capofitto.
Mi ero aggrappato al carrello come un alpinista in parete si aggrappa alla sua corda di sicurezza, altro non potevo. E pensavo continuamente a questo fantomatico bebè...
« Bebè, bambino piccolo... vedo che ha preso i biscottini Plasmon, e i pannolini... », disse lei con disinvoltura. Non capivo il senso di quelle parole. Dietro di me sentivo il mormorio di fondo: carrelli che sbattevano, mogli che si lamentavano, mariti che prendevano mille scuse, e la mia confusione mentale aumentava.
Fu lo spirito di sopravvivenza che mi suggerì di guardare nel carrello, ed allora mi accorsi che i prodotti che avevo infilato a casaccio erano tutti per la prima infanzia. C'era perfino un talco per le irritazioni al sederino.
« Ah... sì, beh non è mio, è un nipotino, il figlio di mia sorella, Ciro... », riuscii a dire.
« Ecco... le volevo chiedere un consiglio su quei pannolini Pampers, se sono pratici, se assorbono davvero il doppio... li ha già provati? », disse lei.
« No no, per l'amor di dio... povero bambino, se lo facessi io si pentirebbe di essere nato... ahahahah », stavo già ritornando in me e in pieno possesso della mia vena umoristica.
« Io faccio solo il baby sitter, ma a cambiarlo è mia sorella... »
Bella Viola mi guardava con insistenza e curiosità, e a me pareva pure che lo facesse con un certo interesse. Mi sentivo invidiato, privilegiato, ero certo che chiunque fra i mariti che mi seguivano avrebbe voluto essere nei miei panni.
« Interessante... avrei proprio bisogno di un baby sitter. A cambiarlo ci penserei io, non è un problema », disse.
Bingo... ci stava provando, me lo sentivo. Possibile che una donna di classe come quella non avesse una baby sitter a disposizione? Avevo capito tutto, mi stava adescando. Sarei andato a casa sua, lei avrebbe preparato una bella cena ed avremmo bevuto un buon vino, come nei film americani, e poi mi avrebbe portato a letto. Aveva ragione mia sorella quando mi diceva: mettiti in ordine quando vai al supermercato, puoi fare un incontro galante anche lì, perché no.
Ero talmente emozionato che mi venne spontaneo sfregarmi gli occhi con entrambi le mani, come se mi dovessi svegliare da un incubo... ed invece era un bel sogno, anzi bellissimo.
Li riaprii, e capii immediatamente che era finito. I rumori del rione Sanità già occupavano le case ed il sole filtrava crudele nelle persiane della camera, riportandomi alla realtà.
Ciao Bella Viola, tu non lo sai ancora ma io in quel supermercato ci verrò ogni giorno, e vestito di tutto punto. Intanto mi allenerò pure a cambiare il bebè di mia sorella, lo giuro su San Gennaro e per sicurezza anche sul Vesuvio. Anche se, a ben pensarci, mia sorella il bebè non ce l'ha, anzi, non ho nemmeno una sorella.


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