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Mattia e il mare

di Marco Tealdo
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Pubblicato il 16/12/2007

La pioggia era uno spettacolo inenarrabile. Mattia passava intere giornate ad osservare l’intermittenza dell’uragano che si abbatteva oltre la grande finestra proprio dinnanzi a lui. Il respiro che andava irrimediabilmente ad annebbiare il vetro non era un reale problema. Un colpo di manica ripuliva la visuale e lo spettacolo poteva continuare.
La pioggia, il vento che ululava ed il mare. Erano per Mattia gli attori di uno spettacolo senza rivali. I protagonisti dell’opera d’arte che ogni giorno, specie d’inverno, veniva riproposta agli occhi di coloro che sapevano guardare un po’ oltre l’immediato. A quelli che usavano il cuore per vedere e apprezzare la realtà circostante.

Mattia avrebbe desiderato spingersi oltre la grande finestra dalla quale guardava con avidità tutte le onde del mare. Ma le sue gambe di ferro non glielo avrebbero concesso. Le stampelle, diventate ormai fedeli compagne di viaggio, non consentivano a Mattia di percorre grandi distanze e neppure di arrampicarsi su pericolanti scale arrugginite. Né su rocce appuntite che calavano a picco sul mare. Mattia aveva iniziato a convivere con quella situazione anche perché, come sempre succede a tutti coloro che hanno una mancanza di possibilità fisiche, aveva iniziato a sviluppare altri sensi. Come ad esempio la fantasia. Quella si che funzionava! Era una macchina eccezionale; di quelle che non si arrestavano mai, neppure durante la notte. Mattia immaginava e pensava; e pur se quei pensieri lo rendevano felice non aveva il coraggio di comunicarli a nessuno perché troppo irrealizzabili.
Quel giorno Mattia si svegliò triste. I sogni quella notte non avevano funzionato e lui si era visto proiettata addosso la realtà così come era davvero: un bambino con le gambe malate destinato ad essere un uomo a metà.
Tra l’altro quello era il giorno in cui avrebbe fatto il suo esordio a casa di Mattia il nuovo medico che, secondo la zia, rappresentava una sorta di uomo della provvidenza. Apparteneva ad un’equipe di medici super specializzati proprio in ciò di cui aveva bisogno il piccolo invalido.
Faceva parte di una prestigiosa squadra di santoni della medicina che aggiustavano tutto ciò che toccavano.
Né Mattia, né sua madre erano in realtà molto convinti della sponsorizzazione che la zia faceva del nuovo medico.
In fondo - pensavano entrambi - “il vecchio medico non è riuscito a fare nulla. Che cosa può avere di speciale questo medico per riuscire in un’impresa disperata?”
Pur se la mamma faceva di tutto per nascondere a Mattia questo inquietante pensiero, lo sguardo di Mattia scavava i suoi occhi e lo andava a snidare la in fondo dove la mamma pensava di serbare il segreto. Appena lei se ne accorgeva, non riuscendo a nascondere l’imbarazzo, inventava sempre una scusa diversa per fuggire lo sguardo dell’intelligente bambino.
La preparazione dell’appuntamento era quella delle grandi occasioni. Il completo nuovo con il numero “46” in perfetti colori giallo e blu tradiva l’apprensione generale.
Colazione abbondante per essere in forma e poi invito ad accomodarsi sul divano in attesa del nuovo dottore. Il tanto atteso mago della medicina.
L’umore di Mattia non favoriva la gentilezza; cosa tanto raccomandata dalla zia che si affacciava con fare ansioso alla finestra generalmente occupata da Mattia.
La fantasia del piccolo malato, man mano che l’attesa cresceva, iniziava a riprendersi i suoi spazi. “Chissà come sarà questo famoso medico che opera miracoli?” era la domanda che rimbalzava impertinente nella mente di Mattia. “ e poi che nome avrà?”.
Improvvisamente scivolò dalle sue labbra una domanda che interruppe tutti i pensieri “zia … come si chiama il dottore?” . “ E’ l’equipe del DOTTOR. Tiraboschi” – rispose la zia con la fierezza di chi sa di avere fatto l’alleanza giusta, e poi riprese “ ma di certo non verrà proprio lui, manderà qualche suo fidato, e altrettanto preparato, collaboratore”.
Chiunque avesse fatto irruzione da quella porta, da lì a pochi minuti, non avrebbe richiamato la simpatia del piccolo paziente. Sul volto di Mattia si leggeva la disapprovazione per l’iniziativa della zia e il suo disagio culminò in una secca affermazione rivolta a tutti coloro che si stavano preoccupando di lui senza comunicargli anzitempo le mosse effettuate “sarà un vecchio medico. Gobbo, coi baffi, antipatico e scorbutico. Poi mi chiederà di muovere le gambe, come fanno tutti. Io non riuscirò, lui si arrabbierà e andrà via dicendo come gli altri “ il ragazzo non collabora e non ha margini di miglioramento”. E finalmente capirete che dovete lasciarmi in pace”.
La sala in cui si trovavano Mattia, la mamma, la zia ed il vecchio nonno si fece densa di silenzio. Alcune lacrime si spinsero fino alla soglia degli occhi della mamma ma il loro tuffo sul volto giovane e scavato della donna venne neutralizzato da un robusto suono di campanello.
“E’ arrivato. Il dottore è arrivato. Mi raccomando, Mattia fai il buono. Non ci far fare cattive figure. E poi sai che i medici di equipe così prestigiose non hanno tempo da perdere. Se vedono che non collabori se ne vanno all’istante”. Tuonò la zia!
Un bagliore di speranza camuffò di gioia il volto di Mattia. Era esattamente il suo piano. Fare in modo che il nuovo medico se ne andasse nel minore tempo possibile.
“Prego si accomodi” esclamò la zia facendo scivolare la voce dalla tromba delle scale. Mattia non capiva ciò che stava accadendo sul pianerottolo. Non sentiva quel solito civettare – a suo avviso falso e di circostanza della zia verso il medico - che aveva l’intento di coprirlo di complimenti infondati col solo obiettivo di ottenere prestazioni attente e parcelle scarne.
Mattia fu incuriosito dal silenzio insolito della zia e dalla assenza dell’atteso vocione roco e grave del nuovo medico baffuto.
Colse invece la voce di una donna – giovane probabilmente -. L’udito di Mattia rimbalzò immagini immediate alla sua testolina in continua evoluzione.
“sarà una dottoressa. Una di quelle zitelle antipatiche camuffata da persona gentile”.
Immediatamente dopo il “prego si accomodi” pronunciato dalla zia con un tono che tradiva delusione e sconforto, lo sguardo di Mattia fu immediatamente inondato dal viso colmo di luce di una dottoressa assolutamente distante dall’immaginario collettivo di Mattia e dei suoi parenti.
I capelli che superavano di poco le spalle e la frangia che, partendo da sinistra attraversava la fronte liscia e cadeva a picco sull’occhio destro, il naso modellato e raccolto in lineamenti morbidi e lo sguardo vivo. Il tutto colorato di un marroncino chiaro tendente al biondo. Sia occhi che capelli. Il colore del volto era riempito di una carnagione tenera, giovane e chiara ma non scolorita.
L’età non era possibile decifrarla. “dimostra poco più di venti anni” – pensò la zia in modo così evidente da cogliere quasi il suono metallico dei suoi delusi pensieri. “ma – continuò a pensare la mamma – se lavora per una equipe così affermata sarà una quarantenne che si è mantenuta bene”.
“ci hanno mandato l’ultima arrivata” – bisbigliò nervosamente la zia che, per lo sconforto, aveva lasciato cadere, in modo gentile, il peso del suo corpo sulla sponda del divano sul quale era stato parcheggiato Mattia.
L’unico che non azzardò pensieri fu il nonno. Neppure cambiò mai posizione se non per stringere la mano alla dottoressa Corelli nel momento esatto in cui varcò la soglia di casa. Lui aveva l’atteggiamento di sapere esattamente ciò che stava accadendo. Sul suo volto c’era stampata a caratteri cubitali la serenità di chi sa in che modo evolverà la situazione apparentemente intricata o quantomeno imbarazzante.
Il nonno era appollaiato sulla vecchia sedia a ridosso della porta di ingresso col gomito sinistro appoggiato al bastone. Lui non si rassegava all’idea di vedere Mattia infelice e – quasi per una scommessa con se stesso o per una forma di illusa consolazione – sperava di fare riaffiorare sul volto del piccolo la luce di un tempo.

“E’ lui il nostro paziente speciale?” sentì chiamarsi in causa Mattia. Quasi per sfida girò velocemente lo sguardo verso la dottoressa Corelli che, nel frattempo, aveva posato il suo sul volto di Mattia in attesa che lui rialzasse il capo.
Il movimento del collo di Mattia fu breve e, non appena i suoi occhi ritrovarono la posizione consueta, si sentì percorso da un brivido.
Fu quella la prima volta in cui gli occhi di Mattia e della dottoressa Corelli si incrociarono.
Gli occhi si liberarono immediatamente di tutto l’astio e lo sconforto che lo avevano gravato negli ultimi mesi. Lo sguardo e il cuore di Mattia furono travolti da un’ondata di freschezza inspiegabile che lo riportarono ai momenti in cui passava ore intere ad osservare il volteggiare di onde e gabbiani e a seguire la fuga di gocce che si infrangevano contro gli scogli levigati dal tempo e dalla furia del mare.
In quel momento provò la stessa sensazione di libertà e di pace. Qualcosa in sé ritrovava il suo posto.
“bene, bene, bene” esordì la dottoressa. “mi avevano detto che eri un tipo speciale ma non avrei mai immaginato che tu fossi anche così bello e così bravo”
Mattia arrossì immediatamente ma questo non fermò l’esordio travolgente della dottoressa Corelli “ e poi mi hanno detto che ami il mare ma non credevo fino a questo punto. Vedi Mattia, la mia segretaria è un po’ sbadata. Tante volte si dimentica di segnare tutte le note dei pazienti e poi io mi trovo in difficoltà”
“Gli occhi di Mattia già aperti e svegli si sgranarono e tradirono un pensiero che prese suono nell’attimo stesso in cui rimbalzò nel cervello “ e lei come sa che amo il mare?”
“si vede dagli occhi. Nei tuoi occhi si coglie la libertà. E’ lei che tiene vivi i tuoi occhi. Siccome il mare è la massima espressione della libertà, ho dedotto che sei un grande amante del mare” E riprese abbozzando un sorriso “ Ma è vero o non è vero?”. Il suo volto nel frattempo depose definitivamente l’espressione del medico e assunse quelli dell’amica.
“Si” rispose Mattia.
Intanto lo sguardo della dottoressa planò con discrezione sulle gambe esili di Mattia e poi girò il suo volto sulla folla di parenti alle sue spalle e propose con autorevolezza “potrei rimanere sola col paziente?”.
Lo scambio di sguardi tra la zia e la mamma tradì delusione ma non rimase loro altra scelta che dirigersi verso la porta della sala e andarsene. Anche il nonno abbandonò la posizione accettando l’invito della nuova amica di Mattia.
Appena la dottoressa sentì lo sferragliare della serratura che andava ad incastrarsi col battente, guardò Mattia e disse “allora ti piace il mare o no?” Senza concedere a Mattia il tempo per elaborare la domanda e pensare ad una risposta, la dottoressa incalzò con un fare amichevole.
“Penso di aver capito la terapia che fa per te”.
Tra i due ci fu uno sguardo e fu di intesa. Mattia si rasserenò e si pose in ascolto della proposta della nuova amica.
“ si chiama terapia del cuore …” esclamò la dottoressa Corelli. “terapia del cuore?” la interrogò il piccolo Mattia.
“si …” riprese la dottoressa. “Vedi Mattia, il cuore può contribuire a guarire tutti gli organi del nostro corpo. Se lui sta bene …. tutto il nostro corpo è in salute”.
“tra l’altro – proseguì la dottoressa – la tua casa si presta bene a portare a compimento il tipo di terapia che ho pensato per te”. Intanto Mattia, sempre più curioso e sbigottito, continuava a seguire ,con occhi sgranati, il discorso accattivante della sua nuova amica. “ti spiego tutto caro Mattia” riprese la Corelli, aggiustandosi con la mano destra un ciuffo di capelli che, ribelle, era andato ad adagiarsi su uno dei suoi bellissimi occhi nocciola. “Io sto notando che il problema non è nella tua gamba ma è localizzato qui e qui” e andò a sfiorare con l’indice della sua mano il cuore e la testa del piccolo Mattia.
L’animo di Mattia era percorso da raffiche di sentimenti articolati e contradditori che si mescolavano confusi tra loro e affioravano in lui in un riassunto sapore di dolcezza, comprensione e fiducia sconfinata nelle parole della persona che aveva conosciuto da poche manciate di minuti ma che già avvertiva come importante.
“Quindi – proseguì la dottoressa – possiamo iniziare subito. Ti spiego in che cosa consiste la terapia”.
“Si però – la interruppe Mattia con l’emozione di chi deve dare voce ad un pensiero che si è fatto largo in lui al punto tale da non poter essere più contenuto – prima devo chiederti se posso considerarti una mia amica oppure una semplice dottoressa”.
La dottoressa rispose con il sorriso soddisfatto di chi osserva i primi vincenti frutti del proprio operato e poi il suo volto si fece dolce come il miele e gli occhi nocciola si illuminarono più del solito. Spontaneamente poggiò il palmo della sua mano destra sulla guancia e poi sulla nuca del piccolo paziente, spostandogli indietro una ciocca di capelli. Non furono necessarie parole. I due si intesero alla perfezione e divennero amici.
“allora Mattia – riprese la Corelli – la terapia ti costerà del sacrificio perché dovrai alzarti molto presto. Tutte le mattine fino al raggiungimento dello scopo finale.
Dovrai alzarti ed andare al vecchio faro che si trova sulla costa orientale ad osservare il sorgere del sole”.
Mattia apparve visibilmente divertito e non si chiese neppure quale fosse il nesso di tale terapia con la sua reale malattia e promise alla dottoressa di svolgere al meglio il compito fino al prossimo appuntamento che sarebbe stato fissato a distanza di almeno una settimana.
L’unico pensiero che gli balzò in mente fu quello di cercare di comprendere in che modo la dottoressa Corelli avesse potuto convincere la zia che quel modo di agire avesse portato ad effettivi risultati.
Comunque non ebbe il coraggio di porre la domanda, certo che la sua nuova amica avrebbe trovato la risposta giusta per superare l’ostacolo.
Dal giorno dopo Mattia si levò di buon ora e andò alla ricerca del sole che stava nascendo. Il tratto da casa al faro posta sulla costa est era tutto sommato molto breve. Così Mattia, con l’aiuto delle sue gambe di ferro, iniziò a dirigersi alla meta facendosi largo tra vecchie sterpaglie accumulate dal tempo. Non appena approdò accanto alla parete circolare del vecchio faro vi si appoggiò esausto ma il suo respiro affannato venne ulteriormente rimestato da uno spettacolo di una bellezza senza paragoni che gli occhi di Mattia non avevano mai potuto gustare.
Il sole era ancora una sagoma informe di un giallo pallido ben lontano dalla luminescenza a cui era abituato il piccolo Mattia. Proporzionalmente allo scandirsi di quei secondi eterni, la sua forma tendeva al rotondo perfetto e il suo colore scivolava di tonalità in tonalità fino a raggiungere un giallo vivo e misterioso. Contemporaneamente al suo movimento di innalzamento, il sole, che aveva intrappolato lo sguardo di Mattia, distribuiva sul mare riflessi di luce brillante e pungente che correvano sulle acque, si inerpicavano sugli scogli levigati dal tempo e raggiungevano il piccolo osservatore inondando il suo corpo, ancora intorpidito dal sonno, di una luce nuova, bella e mai sperimentata. A Mattia sembrava di non essere più quel bambino intrappolato da una malattia che non gli consentiva di fare una vita normale e iniziò a gustare un rapporto nuovo con le forme che la natura gli proponeva quella mattina.
I gabbiani, che tanto amava per quel senso di libertà che suscitavano in lui, sembravano essere una razza speciale di uccello tropicale mai vista, illuminati come erano dal bagliore di quell’alba bellissima. I suoi colori sembravano scaldarsi mano a mano che la palla gialla si innalzava sul mare e l’animo di Mattia prese ad ardere di un’emozione nuova. Percepiva il ritorno di tutte quelle energie, di quelle possibilità che la vita degli ultimi anni gli aveva sottratto.
Qualcosa di nuovo avveniva in lui e cominciò a godere del mistero che sembrava celarsi dietro l’esperienza che si stava consumando in quegli attimi.
Mattia tornò al luogo dell’appuntamento ogni mattina senza neppure chiedersi, fino in fondo, se queste sue camminate fino al vecchio faro avrebbero portato dei risultati validi per la sua malattia.
In ogni caso vi andava ed ogni giorno riusciva a cogliere qualcosa di nuovo, di sempre più bello. Imparava lentamente ad accorgersi della bellezza del mondo intorno; tutte le sfumature dei colori del sole, lo sciabordio delle onde ancora lievi sugli scogli, il canto dei gabbiani, il riflesso della luce che saltellava sull’acqua e giungeva repentina fino a lui abbagliandone lo sguardo.
Il dispiegarsi di fronte a lui dell’orizzonte sconfinato suscitava nell’animo di Mattia nuovi interrogativi. “Che cosa c’e oltre? dove porta quella ideale linea di confine tra il concreto e l’astratto?”
I giorni successivi furono di pioggia ma Mattia non volle rinunciare alla terapia del cuore che gli commissionò la dottoressa Corelli. Si munì di un grosso ombrello e di un impermeabile da pescatore e si diresse al luogo dell’appuntamento col sole. Che, ovviamente quel giorno non arrivò ma mandò suoi fidati collaboratori e Mattia si accorse che la pioggia dispiegava di fronte ai suoi occhi uno spettacolo inenarrabile. La furia delle acque quel mattino era travolgente ed inquietante.
Facendo passeggiare lo sguardo oltre il vecchio faro abbandonato Mattia riuscì a cogliere l’imponenza della scogliera che sembrava approfittarne della furia del mare per divertirsi un po’ con le sue onde spumeggianti e gigantesche.
Il piccolo e curioso paziente osservava le onde che si liberavano impazienti e si lanciavano orgogliose contro gli scogli. Le stesse onde, dopo l’urto violento, si scomponevano in mille rivoli delicati e biancastri che andavano ad adagiarsi nuovamente sugli scogli lungo la costa per poi lasciarsi sedurre dal richiamo del mare ed unirsi nuovamente alla sua potenza per riprendere il gioco.
Alle spalle delle piccole onde scomposte, altre onde, rabbiose anch’esse, si preparavano alle stesse acrobazie. Anche i gabbiani riuscivano a godere di quello spettacolo inquietante. Le loro ali dispiegate planavano ora su una corrente, ora su un’altra che si presentava su quella stessa rotta. Erano come in balia del loro amico vento ma sembravano goderne. Il loro fare non era preoccupato ed il ribollire dell’acqua solo pochi metri sotto le piume consentiva loro di farsi accarezzare dagli spruzzi più arditi che arrivavano a lambirli.
Si facevano scivolare leggiadri sul vento, cavalcandone, come esperti surfisti, le correnti più impetuose ed emozionanti.
Colori e suoni davano vita ad uno spettacolo di una bellezza senza confini che allargavano il cuore di Mattia ogni giorno di più.
Lui intanto continuava ad assorbire ogni fotogramma. Tutte le paure di Mattia si spegnevano a mano a mano che quei colori indescrivibili si incasellavano nei suoi occhi e nel suo cuore.
Mattia iniziava a sentirsi vivo ed una mattina, l’ultima prima del ritorno della dottoressa, si accorse che le sue gambe avevano una strana energia. Un formicolio prepotente scendeva e saliva dai suoi nervi rendendo inutili le stampelle di ferro che ne avevano sorretto il peso per tutti quegli anni.
Mattia si spaventò e fermò un attimo il suo andare scomposto prima che la mamma e la zia entrarono nella stanza e, preoccupate come non mai, si precipitarono verso di lui a frenare la sua fuga dalle stampelle. Mattia dapprima sorrise. Poi il suo sorriso si tramutò in una risata sonora e scrosciante al punto tale da coinvolgere la mamma e suscitare l’ira della zia che camminò speditamente fuori dalla stanza e si congedò sbattendo con forza la porta.
“mamma cammino. Ora cammino. Ho scoperto che la forza di camminare era nascosta nel mio cuore”
La mamma reagì con ovvio stupore ma ebbe la forza di bloccare la sua razionalità e si accomodò a fianco del piccolo bambino accarezzandone le gambe con dolcezza materna.
“Mamma …. Ora cammino. La terapia della dottoressa Corelli ha funzionato. Ora cammino bene e non mi servono più le stampelle. Durante la settimana ho camminato tutte le mattine prima dell’alba verso il vecchio faro per vedere il mare! Vivere per quell’obiettivo così bello e coinvolgente ha scavato nelle profondità del cuore e mi ha concesso di tirare fuori delle risorse che non credevo di possedere. “
“Mamma – continuò Mattia – non avevo nessuna malattia. Il mio problema era qui” e con la mano sinistra indicò la zona del suo cuore.
La mamma scoppiò in un pianto di gioia che lei stessa si affrettò ad interrompere dicendo “ allora dobbiamo chiamare la dottoressa Corelli e ringraziarla della terapia che ci ha suggerito”.
“certo mamma. Dobbiamo chiamarla subito!”
In quel momento la vecchia zia, sempre più nervosa, fece ingresso in camera con in mano una vistosa lettera indirizzata alla mamma di Mattia ed esordì con un secco “è per te!”.
La mamma guardò Mattia e gli fece osservare con attenzione l’indicazione del mittente “CLINICA ORTOPEDICA DOTTOR TIRABOSCHI”.
Fu uno sguardo di intesa ed insieme, con assoluta trepidazione, decisero di aprire la busta. Il corpo centrale della lettera riportava le seguenti parole “ci scusiamo per il disagio creato alla signora vostra causata da una improvvisa carenza di nostro personale. Il mancato appuntamento fissato per la settimana scorsa sarà comunque recuperato e sarà nostra preoccupazione inviare al domicilio indicatoci un nostro terapeuta che consentirà di iniziare una cura per il caso in esame” Il seguito erano parole pressoché inconsistenti che mettevano in luce scuse e si accertavano sulle modalità di pagamento.
Mattia e la mamma non avevano il coraggio di alzare lo sguardo dal foglio ancora ben stretto nelle loro mani. Lentamente i loro sguardi si incrociarono e le loro bocche non trovavano le parole adatte né per commentare ciò che avevano appena letto, né, tanto meno, per offrire giustificazioni all’insistenza delle domande della vecchia zia.
L’unica reazione fu una forte risata che fece nuovamente andar via la zia e consentì ai due complici di rimanere soli.
“Ma allora chi è la dottoressa Corelli?” fu la domanda di Mattia che ruppe il nuovo silenzio tornato a regnare nella stanza.
“non lo so, Mattia. Non lo so!” disse la mamma guardando dritto negli occhi il figlio. Mattia si alzò e fece un balzo verso la finestra. Poi si esibì in una rischiosa capriola e saltò in braccio alla mamma.
“neanche io lo so chi è la dottoressa Corelli. Quel che è certo è che mi ha indicato la via per scoprire quanto di più bello esiste al mondo”. I due si abbracciarono e rimasero a lungo in silenzio. Poi la mamma disse “ vedi Mattia, la nostra vita è gremita di angeli che compaiono ad un certo punto per dirci qualcosa di davvero importante e poi scompaiono perché hanno compiuto la loro missione”. Nessun silenzio fu mai così eloquente come quello che riempì lo spazio tra Mattia e la mamma.

I due rimasero a lungo a guardare il gioco dei gabbiani che con le loro ali dispiegate planavano ora su una corrente, ora su un’altra che si presentava su quella stessa rotta. Erano come in balia del loro amico vento ma sembravano goderne. Il loro fare non era preoccupato ed il ribollire dell’acqua pochi metri sotto le piume consentiva loro di farsi accarezzare dagli spruzzi più arditi che arrivavano a lambirli.
Si facevano scivolare leggiadri sul vento, cavalcandone, come esperti surfisti, le correnti più impetuose ed emozionanti.
Colori e suoni davano vita ad uno spettacolo di una bellezza senza confini che allargava il cuore di Mattia ed, ora, anche quello della mamma.

Non vi fu più nessun giorno di Mattia privo di quell’intrecciarsi di luci ed ombre che iniziavano nel mare li di fronte a lui ed andavano a trovare spazio nel suo cuore per traboccare poi nei cuori di chi lo avvicinava.

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