L’errore di cui mi pento è l’aver sbagliato dio.
Quando mi hanno parlato del dio dei lebbrosi
O degli emarginati e di quello dei misericordiosi
Forse avrei dovuto prendere il cappello e dire addio.
Perché ora che mi ritrovo sul palco di questo teatro
Con una pallottola nello stomaco e l’altra nel cuore
Ho capito in un lampo che c’era un dio del rancore
Nascosto nella sala e non sprofondato in un baratro.
Il dio degli assassini in nero e della dura sorte
Dei kalashnikov assordanti e dei passamontagna
Delle lame affilate e delle granate di montagna
Delle preghiere recitate come litanie di morte.
C’era un riff di vita prima degli spari
E chitarre blues lancinanti con giochi di luce
Ora solo lamenti nel buio e odore di brace
Vite spezzate o deragliate su oscuri binari.
L’ultimo attimo di silenzio può servire a capire
Cosa è davvero successo e dov’è l’ultima l’uscita
Qual è il dio che mi aspetta a festa finita
E se potrà esserci ancora un altro concerto da sentire.
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