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Ipotesi di felicità


Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 26/06/2017 12:00:00

 

 

Per scrivere un numero sufficiente di versi

bisogna essere stati nervosi molti giorni

 

in ulcerata gioia.

 

Statue senza colori indicano le finestre

hanno acconciature anni '70, dei loro poeti

ci sembra più vicino Cavalcanti.

 

Non tutti verificano ciò che è stato fatto

- qualcosa a vent'anni che neanche ci si accorge

i primi movimenti del poemetto per la madre

una decina di liriche piombate.

 

Non è che ci sia poi tanto conforto

nei piccoli occhi epilettici dei fiori.

Un tetro calamaro muove invece

i suoi tentacoli nella mia testa, i suoi concetti.

 

 

*

 

Mi guardi come fossi un imbecille

quando nelle stazioni di servizio

maturano i bulbi dei rimorsi. L'aria

cattiva circonda le verande in resina.

Un sorriso su tutti i bicchieri del mondo

ripara i nervi dal tartaro della mia generazione.

Non c'è coincidenza, è finito anche l'ultimo intanto.

 

Non suda per il caldo

ma per una diagnosi sbagliata.

Le bollette non scadranno ma

per favore, non diteglielo.

La bici si stacca da terra e vola -

canta la rana più magra dello stagno.

La soddisfazione non è una tabellina a memoria.

Non so se sia previsto l'amore senza sesso, a me basta

scrivere piccoli libri per essere in ottima forma.

La nostra immaginazione ha guinzagli più lunghi.

 

Negli attici alberati è più facile

smettere di respirare e

solo dopo un po' riprendere. Finché

gli impiegati riempiranno i ristoranti del centro.

 

 

*

 

«Chi siamo?» chiede il quasiprete

quando piuttosto dovrebbe

domandarsi se per caso

siamo veramente.

 

Complessità elementari,

osmosi e strade e case.

Molluschi siamo in una maglia di legami,

siamo la taverna e il canto

il vuoto dell’origine, la mancanza, la nera

distanza che si riproduce. Siamo

le piccole madri bianche.

 

 

 

[ da Ipotesi di felicità, Alberto Pellegatta, Mondadori, Lo Specchio ]

 

 


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