Ville Turro - Milano
William Turner - Naufragio
A chi troppo mi ha amata, a chi troppo ho amato
Cos’altro dire?
Forse che fino qui ho sbagliato tutto -
l'angolo della visuale da cui guardavo me stessa
e il mondo,
il modo di camminare come fossi
su una passerella inclinata,
gli altri curvi sotto pesi
o tremanti di piacere.
Invidia? Sì, quando il vuoto e io
eravamo lo stesso.
Mi aggrappavo a un calorifero
stesa per terra
come a una boa di senso -
poi, lentamente, risorgevo.
Segno o salvezza vestirmi
di qualcosa,
qualunque cosa ricoprisse la paura
di non esserci, di non essere abbastanza:
voce uniforme, stanca di dire
quello che nessuno ascolta.
Staccavo le etichette cucite dietro agli occhi
per tenerli in piedi con un bastone bianco.
Cadevo.
Poi dalla terra
provare a guardare il cielo,
i rami scuri e irraggiungibili degli alberi,
o i fiori, enormi
se la vertigine danza intorno.
Era il tempo -
un giro di luna ma infinitamente -
delle sbarre alla finestra.
Veniva il padre la sera,
reduce da una guerra senza armi,
prendevo un foglio e una matita
per i suoi occhiali tristi
che conservo in una cartella non so dove.
Ombre tutto intorno penitenti
sulla poltrona dei ritratti
davanti al letto della camera singola.
Su carta.
La mattina facevo la pipì nel lavandino
e mi sorridevo.
Il bagno con la vasca -
arrivarci un'avventura.
Mi aveva portato un vestito rosso
troppo grande,
come un grembiule o una divisa da carcerata.
Impresa uscire,
c’è voluto il richiamo di un vestito giallo -
nel fumo che sfiata polveroso
dai muri immensi di Milano.
Correre a perdifiato -
indossarlo
in fondo a un asfalto qualunque.
Brillava addosso - non lo sapevo ancora.
Cosa aggiungere a tutto questo?
Quello che impari senza saperlo:
aggrapparsi a un sorriso
come a un’ombra in un fondale -
niente o me stessa -
riemergere verso la mano tesa
oltre lo scoglio.
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