Prendo nella mia mano assassina
d'anime scaltre, d'istinti vitali,
la tua mano fredda, caduta nel silenzio
senza affanno della notte,
asfissiata dall'oblio del nostro amore,
anni vissuti a rimirare i colori dell'arcobaleno,
a urlare in faccia a cieli blu cobalto,
a sognare mondi senza inverno
nell'inferno del conflitto di classe.
Prendo, nella mia mano tremante di rabbia, intrisa di modernità,
la tua mano sorda ai miei richiami da cacciatore abbattuto,
nel vederti sfiorire come un bonsai di carta vetrata,
scarabocchiato da demenza senile,
Alzheimer, si chiama,
senza ricordi, senza destino,
urlando sotto i tetti di cartone d'una casa di cura,
d'un manicomio, muovendo i tuoi occhi dolci, azzurri,
nel vuoto d'una mente sconfitta.
Ma, io ti chiamerò amore,
tra cent'anni, sdraiati insieme,
ancora - è una vita!-
su un vecchio letto sfatto nell'Aube francese,
le tue mani stinte nelle mie,
in cerca d'una boccata d'aria,
del vento stanco del mattino,
ancora una volta, fino alla fine.
E, io ti chiamerò
morte, insieme.
[Mostri, 2009]
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