Pubblicato il 19/03/2018 08:50:09
ELEMENTI (ovvero le stagioni della vita)
Infanzia – Inverno - ACQUA
Fui del segno dell’acqua e ne conobbi il fondo. Fui pietra e sale mi annegò e mi pianse il mare. Il nostro mare d’erba alta che al passo vandalo adagiava letti di fiori inaspriti dalle grida.
Poi fu spenta la vita. Non c’è nave che porti -mi dicevo- dove il quieto tuo esistere mi chiama né mare appagato del suo moto che specchi immune la tua ronda notturna di colori.
Così mi strangolò la sciarpa del Liri e scordò il riso delle sue sorgenti. La neve entrava dai vetri rotti e il gelo mi marchiò le mani.
Hanno ascoltato le tue mani: chi più diritto ha avuto di me? Cosa mi hanno detto le sue mani che io non ho capito?
E’ scritto nel fondo, ma tu parli oscuro, mio elemento inquieto: non ti corrisponde la chiarezza. “Acqua penetra nelle mie grotte buie. Rotola, schianta, fammi levigata e pura più di una segreta perla.” Perché l'amore ha con il gelo inciso il delicato frutto della vita.
Adolescenza – Primavera – ARIA
Poi venne la stagione tellurica. L'infanzia sulle gambe svettanti restava a guardare e le bocche si nutrivano di vento. L'aria sonora/ lo stesso canto da sempre gonfiava le nostre piume. La smania il rito del corteggiamento a mezz'aria le ruote dei pavoni.
Il vento fatto di nulla spogliava le mimose spargeva uccelli/ seminava/ sfrondava poi tornava/ quieto/ come da una corsa il cane/ sguinzagliato.
Perdemmo la memoria/ la cognizione del futuro/ e dell'essere sacri a gli dei. L'attimo nitriva impennato. Sotto gli zoccoli levati/ incoscienti e felici conoscemmo l'eternità. Il canto nelle gole spalancate/ nell'ora dell'ombra a picco/ correva al richiamo cieco e diritto dell'adescamento.
Dalle case anguste/ appena appena si vedeva il cielo/ i voli tagliavano le ciglia/ quando il fiuto del verde al grano spigato ci condusse muti e bendati.
Scoprimmo i mesi dai nomi favolosi e ci perdemmo infine “nel tempo in cui la rosa descrive ai sensi/ la sua carne odorosa”
Giovinezza – Estate - FUOCO
L’estate duttile nel piombo dell’asfalto fondeva sigilli di zoccoli legnosi quando la donna che rapì al bersaglio il centro partorì la luce che galoppa.
Con mani affascinate la portò nel vento le diede zampe e scatto di puledra perché vincesse nella corsa il tempo e i capelli dell’acqua avesse come briglie.
Poi da sotto le infantili pietre traesse il suono di conchiglia che aveva un tempo per gioco sepolto e dalla città che più non esiste fuggisse con artigli di canto appesi alla criniera.
Lontano fuggisse - lei - la sconosciuta la straniera dell’Orsa - già tesoro di molte albe –
Maturità – Autunno – TERRA
E' grembo/ e madre/ e donna sa che spesso si fugge – complici gli incontri - ma sempre / e soli / a lei si torna.
Così ci si apparta dalla vita / col dirsi a mente che tutto finisce/ e quel che è stato per lo più non conta. Così le mani scordano gli abbracci gli occhi la carezza dei volti e già l'addio/ dallo sguardo lungo ci lascia sull'orlo del forse e del mai.
Il giorno oggi è di poco più breve ma nel sangue è il tempo di ieri e dall'anima la luce in silenzio si separa.
Conosco i segreti della terra la vita che perisce/ le sue resurrezioni i tradimenti/ le promesse/ le separazioni. Ciò che passa passa sul corpo con ruote di carro e tu / alba / sorgi già orfana del mio respiro.
Ma “ il brindisi è rosso/ e il tramonto dai rubini a goccia pende dai lobi delle finestre a fiori”
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