In questi giorni il tuo urlo muto, fratello mio,
sangue mio, trova la sua transustanziazione -
e scusate se parlo difficile, ma ho avuto la
- sfortuna -
di imparare delle parole,
l'ho avuta sì
e questo mi costerà di essere spedita al riciclaggio
dei rifiuti solidi dei maiali,
come al tempo della rivoluzione culturale maoista,
in una qualche sorta di ridicolo rovesciamento
della storia. Perché sono un'intellettuale, sì,
buonista, sì, radical e pure un po' chic,
- hanno scordato di darmi il rolex, ma tant'è,
l'ignominia mi tocca lo stesso.
Mi tocca lo stesso veder insultate persone degne e miti
che si battono perché non si perda la memoria
dell'abisso nazista, mentre altre sfilano
sotto la croce uncinata a viso aperto, come se nulla fosse,
mangiano in tavole imbandite con menù che inneggiano all'infame
assassino che ha trascinato l'Italia nella polvere e nell'ignominia
della guerra, sorridono persino. Nel centenario di Primo Levi,
nell'anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini
questo è quello che mi tocca, Paolo mio.
Mi tocca vedere l'irrilevanza della sinistra ripiegata sul suo ombelico
mentre scompare l'umanità,
l'umanesimo e la ricerca di quel minimo di equità
che non ci faccia vergognare
di alzare gli occhi sull'altro.
Mi tocca vedere che paghiamo i lager libici, vendiamo le armi
agli assassini siriani, affamiamo i bambini yemeniti,
assistiamo inermi al ritorno delle paradittature latino americane
e che altro ti devo dire, Paolo mio?
Tutto si tiene, fratello caro,
tutto si tiene. Cosa potevi gridare tu,
più di tutto quello che davanti ai nostri occhi
già allora era andato distrutto, s'era trasformato in niente?
Cos'altro potevi gridare, se non il nulla?
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