Dall’angolo di un letto, sorella cara, ti scrivo.
Terzo giorno di pioggia di frammenti: non mi ritrovo più. Non so se sono sasso o sono stella, se suolo o fumo, filo d’erba o candela, oppure latte d’asina o un bicchiere. Spesso mi bevo il sonno.
Bagliori. Ancora mi rammarico degli anni: li ho passati cadendo.
Riparavo pensieri. Sai, sono cose inutili, ma un poco ci sono affezionato, come alle passacaglie, ai miei limoni, agli sputi sul selciato che mi ricordano che gli dei non hanno cura: la mia asma, il bruciore.
La mattina biscotti: non mi sono mai piaciuti. Non so perché continuo a farmi del male. Poi non scivolo notti. Al massimo mi siedo ad aspettare.
Vado a letto di giorno, ma in questa confusione si aggiungono elementi non chiariti e la tenebra moltiplica se stessa come una forma d’acqua.
Non distinguendo ombre, il tempo non comunica passaggi: consuetudine e caos, vecchi argomenti.
Il tempo è come un cerchio dentro l’acqua dopo un sasso: si espamde e poi scompare.
La natura è un inganno prelibato quando trasformi l’acqua in idromele. Un inganno assetato.
I tuoi figli collimano col senso? Io non ne ho avuti e passo da un’epigrafe a un sasso. Vado indietro, ma non mi aspetto di ricominciare.
Quando la notte viene nell’inverno, il mio cortile si trasforma in dubbio e i germogli diventano bisbigli. Vento, o forse la follia. Abbiamo dissipato? Questo mi sembra certo.
Notti da est rovesciano le stelle e il Sagittario scaglia dardi freddi sulla terra e dintorni. Garantiremo ad altre formazioni di fare delle ceneri sarcasmi? Questo mondo non è un teatro serio, ma tu non darmi credito.
Appena puoi, mandami una passione da scordare. Ne ho consumate a dismisura, ma le ho perse di vista.
Mandala verso un tardo pomeriggio, quelli sul lago, senza confusione. Mandala, senza rumore.
Ti bacio sulle punte dei capelli, i seni e gli anni morti.
Tuo Plinio, prima di sera.
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