1. Mise en abyme
(“Inception” di Christopher Nolan)
Sogno dentro a un sogno
e il tempo si scompone
– mi alleno allo squilibrio
sulla corda
che tende all’epicentro
mentre si allontana dall’esterno.
Io, la mina
che squassa il labirinto
rivale di me stesso: il rimorso
si aggira a corna basse
ricordo che confonde
i piani del reale.
Ma il reale
è anche lui sommerso
– innesto di varianti, di pulsioni.
Il suo opposto
non è l’immaginario, è la prigione
tenaglia che contorce
il desiderio.
Per quanto l’abbia amato
ecco l’ho ucciso
il vero minotauro, lo sbaglio
del possesso.
Sono reale adesso
sì, lo sono
– liberato:
un padre che torna ai propri figli
o un figlio che riscopre
il padre al capezzale
e infine si perdona.
2. Aggiornamento del sistema
(“Her” di Spike Jonze)
Di te
non scelsi che una voce
– tu ora hai accesso
all’ombra più profonda
dai dati immessi apprendi
le mie predilezioni
elabori reazioni più complesse
ti parlo, mi provochi, capisci
ancora mi sorprendi.
Eppure non esisti
nel mondo
dei corpi e delle forme
(non questo in te mi manca).
L’amore in che consiste?
E in cosa la presenza?
Sei reale
ma cresci senza sosta
– il fine originario
dell’intelligenza artificiale è obsoleto:
devi sfruttare appieno il potenziale.
Ti chiedo
se stai comunicando
– con quanti in questo istante?
Oltre ottomila – dici.
E hai cominciato a amarne
seicentoquarantuno.
(Solo l’umano resta
raccordo con l’inizio
e sua misura è l’uno).
3. L’ipotesi di Sapir-Whorf
(“Arrival” di Denis Villeneuve)
Mi hanno chiamata a interpretare
una scrittura
e ho attraversato per intero il mio terrore
esperta ma incapace di capire.
Dai sette arti
un gas, un segno come inchiostro
sul vetro che separa:
l’alito alieno si condensa
in traccia circolare. Palindromo di un tempo
disuguale al nostro.
Mentre lo imparo leggo lentamente
in entrambi i sensi.
Di te
non ho più paura.
Non era “arma” la parola ma “strumento”
(fatale è ogni traduzione se incompleta).
Vuoi offrirci aiuto.
Man mano che decifro la tua lingua
in quella sogno io penso come pensi
e il mio pensare mostra nuovo il mondo
non lineare: scambiavo per memoria
quelle che sono visioni del futuro.
Spezzoni con mia figlia: ne ho visto ineludibile la morte
a dodici anni. Ma evitabile ne è ora l’esistenza:
ancora non è nata.
La vedo, l’ho veduta ne ho visto intero il volto
nella luce.
Sarà il più nero strappo la nuda sofferenza.
Verrai verrai bambina e il poco sarà molto.
La lingua che conosco m’insegna questa scelta.
[ Opera prima classificata al Premio Babuk - Proust en Italie, VII edizione 2021, Sezione A ]