Pubblicato il 04/01/2011 09:21:12
La prima volta sulla strada per Delfi e il ricordo ancora oggi mi accompagna fui colto da una folata odorosa di fragranze e dal levarsi di un richiamo che subitaneo mi condusse nel pieno dello svolgersi di un rito. Una prima voce poi un'altra e un'altra ancora a dar forma a un coro la cui alternanza raggiungeva una drammaticità arcana e tesa di segreta memoria che un intimo rapporto con l'immaginario riconduceva al presente quasi che reminiscenze di un tempo trascorso rendessero compiuto il tempo del mio ritorno trasfigurato entro la realtà del momento. I tori, asserviti al giogo ornato di fiori per l'occasione, tracciavano un ampio cerchio nella terra, entro il quale i contadini del luogo, tenendosi per mano eseguivano una danza di origine lontana che si riallacciava a più antichi riti agresti del sopraggiungere delle stagioni. Uno di loro, forse un capo designato, affondate le mani nella nuda terra come il vomere prese a rivoltarla, a frantumarla, quindi la sollevò e la disperse nel vento una, due, tre volte … Il sole, giunto al tramonto in quel momento, arrossava quella polvere come la fiamma che divampa improvvisa, il che – dissero – preannunciava il sopraggiungere epifanico del mito. E nel rimescolio di quelle polverose danze e umane fatiche di orazioni e di canti, la terra riaffermava la propria identità trascorsa entro una metafora che sostituiva all'evento una sorta di rappresentazione enfatica e tuttavia compiuta entro l'illusorietà del tempo. Al ricordo, un lontano presentimento ancor oggi mi coglie, come un qualcosa che preme contro le pareti del vissuto quasi che l'anima antica, risvegliata per non so quale esigenza, sopraggiunga a riaffermare il presente astratto d'un sogno che s'avvera.
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