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’’Ora non hai più paura’’ al Teatro Palladium

Argomento: Teatro

di Alessandro Vetuli
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Pubblicato il 12/02/2013 18:15:31

Ora non hai più paura è la seconda parte delle “trilogia della gioia” portata in scena dal Teatro Valdoca di Cesena per la regia di Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri.

Più che essere uno spettacolo si tratta di una dolce costrizione a guardarsi dentro, un viaggio tutto rivolto verso le viscere dell’umano e delle sue sfaccettature; nessun testo scritto, nessuna voce, solo il discorso dei corpi sulla scena e le luci a sottolinearne le frasi. Tre attrici (di cui una a seni scoperti) animano uno sfondo piuttosto spettrale e spoglio dove dominano i colori scuri ad eccezione di un drappo celeste. Tre corpi che interagiscono tra loro rappresentando un moto interiore, o meglio, il processo che aggrega e disgrega i moti interiori con lo stesso fragore con cui si spaccano i vetri quando ci lanci un sasso contro.

Un’ora di silenzio dove inizialmente si viene guidati verso il nostro lato oscuro attraverso strumenti minimali che provocano stridori, scintille, graffi e tonfi; l’archetto del violino che stride sul metallo come un paio di unghie su una lavagna o ancora il gong che quando suona spezza la tensione (colonna portante dello spettacolo) e recide quell’ultima corda di “paura” a cui eravamo legati.

Il segreto non è nel cercare i significati come si fa tipicamente nel teatro o nell’arte concettuale ma lasciarsi andare come se fossimo dentro al canale di scarico dell’io, lasciarsi scivolare come se fossimo al parco giochi e osservare la fogna prima della miniera. Quando i tre corpi si allacciano lo fanno in modo afono proprio come quando nell’uomo muore o si frantuma qualcosa, così come esplode una bolla di sapone e un fiore nasce ed il buco non è altro che un nascondiglio o un condotto da cui respirare, come direbbe proprio Mariangela Gualtieri “una ferita che va percorsa dalla sorgente alla foce, fino in fondo”. In questo percorso a nuoto talvolta ci si trova di fronte a dei detriti di tenerezza che, come mostrano le attrici, sono anche solo dei gesti: una testa che delicatamente si appoggia sulla spalla, una carezza, un tenersi stretti nel silenzio o anche solo (com’era nella rappresentazione) un danzare in due con qualcuno dietro che traccia il sisma delle tue emozioni con un gesso bianco su un telo nero “Amaro ti sei messo in testa/di aprire la mandorla del mondo/e non ti è rimasta che la mano/scrivendo certe poesie/bianche sulla pagina nera” scriveva Odisseas Elitis.     

                         

 

Allora Ora non hai più paura mira ad aprire la mandorla umana, abituati come siamo al rumore richiede raccoglimento e ascolto di un suono che parte dalla carne e si conclude nella carne, una (dis)armonia di ossa e muscoli e un’armonia di gesti avvolti in tagli di luce spigolosi come la speranza che unisce o separa come quel duello atletico più reale che teatrale; che il vuoto sia una casa quando la pienezza è solo una goccia d’acqua che si ripete (propagandosi da una registrazione) una sola volta . Alla fine dello spettacolo quando mi giro e le luci si riaccendono il mio amico è completamente paralizzato dall’emozione e vacilla per un attimo, la prima cosa che mi dice è: “Ora non ho più paura. O almeno, ne ho meno.”.

 

 

 

 


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