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Stanislas Breton ’Simbolo, schema, immaginazione’

Argomento: Filosofia/Scienza

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 26/08/2020 17:18:19


STANISLAS BRETON
“SIMBOLO, SCHEMA, IMMAGINAZIONE” - Saggio sull’opera di Rubina Giorgi.
Edizioni Ripostes 2020.
Introduzione di Carlo Di Legge
Traduzione dal francese di Salvatore Violante.

Dall’Introduzione.
«Le scarpe consumate di Van Gogh, che Heidegger commenta, rievocano la comunione dell’uomo con la natura, la sua fatica e il suo riposo, la sua aspettativa dalla terra e dal cielo, la sua speranza nella visita degli dèi.»
S. Breton

Inseguire un schema speculativo nel campo della filologia linguistica che fin dai primi enunciamenti potrebbe risultare infruttuoso, è di per sé cosa ardua da affrontare, soprattutto se a proporlo è uno stimato filosofo francese di tendenza teologico-cristiana qual è Stanislas Breton, che l’ha dedicato alla ‘riflessione sul simbolo’ della poetessa e scrittrice Rubina Giorgi, alla quale, come enunciato nel titolo, ha rivolto questo suo saggio.
Con ciò, per quanto qui ci si avvalga dell’accurata traduzione dal francese di Salvatore Violante poeta e critico letterario e, della saggia introduzione di Carlo Di Legge che ne specifica, passo-passo, i diversi capitoli proposti, fin da subito si giunge a confrontarci col pensiero analitico afferente alla ‘psicologia del profondo’ evoluta di C. G. Jung, una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico, tutt’ora oggetto di apprendimento.
Una proposta di lettura e/o di rilettura questa che, stando almeno nelle intenzioni dell’autore, guarda all’insieme del pensiero in ambito linguistico a lui contemporaneo. Breton, infatti, rivolge una speciale considerazione alla simbologia di Rubina Giorgi, la nostra conterranea che ha svolto un’importante excursus, quanto più addentro all’ ‘ontologia formale’, attraverso l’aspetto delle forme e ai significati intellegibili, rivolto, soprattutto, alla funzione che il ‘simbolo’ riveste nel nostro mondo odierno:

Scrive Breton: «Simbolo è ciò che, senza concetto, al di là o al di qua del concetto, fa dunque comunicare gli uomini tra loro e le cose tra loro. […] Molti indizi, oggi ci persuadono della necessità di tralasciare sia l’ontologia tradizionale sia la semiotica generale che l’ha rimpiazzata. Tra le opere che testimoniano questa insoddisfazione e che delineano, in modo fermo, lo schema di questo superamento, ce n’è una che abbiamo scelto perché ci sembra essere il punto d’incontro di diverse tendenze e di molteplici discipline: […] cioè la scienza filosofica dell’essere, afferente alla “metafisica platonico-aristotelica”.» […] Da cui l’affermazione: «La fine della metafisica, potrebbe essere l’inizio della simbologia.»
Ne consegue l’individuazione, nell’ambito della ‘speculazione filosofica’, di uno ‘schema’ necessario nello studio della ricognizione scientifica, antecedente alla formulazione dell’ ‘ontologia formale’. Un metodo di apprendimento rivolto alla comprensione del ‘sistema significante’ che, come è anche detto nell’introduzione, rivolge la sua utilità allo studioso/lettore, nell’addentrarsi, seppure con non poca difficoltà, nella ‘materia significante’ ed accettarne i concetti e/o a condividerne le tesi:

«Si può, in diverse guise, seguirne l’evoluzione nella storia del pensiero, ma occorre premettere che un’aura di non detto e non pensato sempre accompagna ciò che del simbolo si esprime. […] Si può immaginare il simbolo come un oggetto spezzato in due frammenti, tra cui dunque s’apre un intervallo, uno spazio attraversato, percorso da una tensione ordinatrice, con sue leggi o quasi-leggi; esso viene rappresentato come “operatore di interposizione” che quindi, in quanto tale, “presuppone polarità e, tra gli estremi, un intervallo”. […] Si accetterà a rigore che tale disciplina era una “ontologia vuota”, o ancora una “logica dell’essere equivoco come oggetto d’interpretazione”. Ma dobbiamo subito aggiungere che tale essere equivoco deve la sua equivocità al fatto che il simbolo si muove nella qualità dei poli, nell’intervallo e nella condizione mediana del termine medio».(Breton)
Nella specifica del ‘simbolo’ che Breton rende in modo quantomeno suggestivo oltre che rigoroso, si hanno in breve: due poli entrambi ricettivi, divisi da un intervallo vuoto e/o nullo (nihil) reso fruibile nell’immaginale (vedi Cobin, Hillman e altri). In primis va qui chiarito che il sussistere dell’ “approccio immaginale” nei confronti del ‘simbolo’, non esula da ciò che è fondativo nel “pensiero immaginale” riferito al ‘simbolico’. In breve, lì dove Breton cita Rubina Giorgi: «..il simbolico, come funzione di negazione e di distanza, non è vuoto perché è auto-riflettente, ma è auto-riflettente perché è vuoto. Il movimento dell’autoriflessione conferma questo vuoto.»

«Se autoriflessiva è la soggettività, e il vuoto è autoriflessivo, allora il vuoto sarà l’indizio della soggettività, del soggetto, sebbene non si tratti di soggetto – e del suo correlativo, l’oggetto – come si è abituati a pensarli […] secondo il concetto avanzato dalla fenomenologia husserliana la cui evidenza appare oggi problematica.[…] Per ristabilire l’equilibrio tra il causale ed il semantico, è necessario che lo schema elevi alla dignità di nuovi significati delle accezioni preliminari e convenzionali, che non sono del resto da concepire mai come cause propriamente dette, e le inserisca in una totalità originale dove esse prendano una valenza nuova.»
Soprattutto quando questa è applicata all’intenzionalità dell’arte cui l’impersonalità dell’artista diventa abnegazione del soggetto nei confronti dell’oggetto. Un’esigenza speculativa messa al servizio della creatività, per cui – come scrive Carlo Di Legge: «l’abnegazione del me provoca (spesso) le rappresentazioni più raffinate dei molteplici recessi della soggettività.» Ed è ancora Breton che citando Rubina Giorgi nel suo ruolo di poetessa, ci avverte che «..una certa letteratura contemporanea potrebbe illustrare questa nota. Al momento in cui l’autore sembra scomparire nella tela anonima che si tesse tutta da sé, immaginiamo dietro le quinte il demiurgo che non è da nessuna parte perché è ovunque presente. Difficile sfuggire alla sua ombra.»

Onde per cui – aggiunge Breton – «L’opera d’arte dialoga, combina, assume e subordina quello che riceve inserendolo in una atmosfera misteriosa che gli assegna un senso di trascendenza. Lo schema come funzione d’intermediario, si precisa così: operazione schematizzante che seleziona e ritaglia su un preliminare gli elementi che esso ordina in una figura inedita; valore, nel senso linguistico del termine, che istituisce nel gioco dell’arbitrario, ma di un arbitrario regolato e regolatore, un sistema di differenze e di relazioni; simbolo, che non-realizza il reale radicandolo in un immaginario, di cui produce le forme ma per riaccompagnarle subito alla loro sorgente e per conferire loro, attraverso questa riduzione, una mobilità di pura fantasia.»
Ma il passo poetico non si ferma qui, infatti Breton aggiunge che «..l’oggetto e il soggetto non sono fissati una volta per tutte. Bisogna assimilarli non a degli elementi invariabili ma a delle polarità reversibili. […] Nel suo movimento, il simbolo è soggettività in modo che specularmente (moto proprio del riflessivo), rimanda di continuo il soggetto all’oggetto e viceversa.» In ciò non v’è nulla di misterioso quanto invece c’è di speculare, in ogni singola istanza c’è sempre all’origine un’intenzionalità ricettivo-creativa propria dell’essere pensante (animale, vegetale, umano), afferente a una sorta di ‘energia’:

Energia «..di un singolare tipo che, non appena sembra acquietarsi in una forma, subito muove alla ricerca d’essere altro, per “un processo indefinito di proliferazione”. […] Questa proliferazione indefinita non è un accidente dovuto a una patologia dell’immaginazione. Non funziona come un cattivo infinito ma come una necessità essenziale. Ciò che Brouwer diceva del continuo numerico vale qui a fortiori: il simbolo si muove in un contesto di libero divenire […] per il suo potere sempre nuovo di auto-trascendenza.[…] Questa alterità fa parte della sua natura di ‘funzione simbolica’ nella quale si esplicita e s’interpreta.» (Breton)
Difatti il ‘simbolo’ re-interpretato secondo Breton sulla scia delle avances di Rubina Giorgi equivale a un principio d’identificazione, l’affermazione stessa dell’individualità dell’essere antropico: «Ed anche questa energia è sospesa ad un irraggiamento originario che, aldilà dell’essere e della forma, si presenta come pura indeterminazione “per eccesso” di cui le figure sensibili e le forme intellegibili, come pure lo stesso movimento formativo, spiegano, in una lingua cosmica, l’inesauribile generosità.»

Pertanto siamo messi di fronte a un problema logistico che si vorrebbe risolvere, ma di certo: «Non (con) la logica formale classica dunque, ma (con) una logica che, tuttavia, consente di districarci, orientandoci nella selva delle somiglianze, e che paradossalmente presiede alla comunicazione e all’interpretazione, se interpretazione è sempre legata alla comunicazione: quello simbolico è, per quanto non possieda chiarezza né evidenza, il luogo che offre certezze, pur nella variabile molteplicità delle forme»: (Carlo Di Legge)
«Il suo carattere polimorfo non gli impedisce (al simbolo) di assicurare la comunicazione tra gli uomini; non più del resto di quanto la sua ambiguità non lo condanni all’incomprensibile. Ad ogni modo questa comprensibilità si accontenta benissimo dell’equivoco e della pluralità dei sensi.» Pertanto giungiamo ad un’altra affermazione: «L’essere è la forma, attiva o passiva, che sfida ogni nostro gioco linguistico.» (Breton)

Come è anche detto nell’Introduzione, che «lo si riconosca o meno, questa è propriamente la nostra vita. […] Ci parla del nostro universo, dicendo che in esso ogni ente è in simpatia con ogni altro; ma non è questa, la dimensione della logica scientifica: non stupisce chegli scienziati non la ammettano, se non i più illuminati.» (Carlo Di Legge)
Tuttavia l’equivoco menzionato è, secondo me, la conseguenza della ‘pluralità dei sensi’ che qui si vuole mistificare dentro il contesto simbolico univoco della ‘forma/immagine’ come punto di arrivo inconfondibile, contravvenendo alla tesi junghiana della sincronicità degli eventi che rendono la doppia polarità del segno inter-connettiva, dinamica stessa del linguaggio comunicativo di ‘reversibilità assoluta’, per cui vale la formula:

«Ciò che non ha forma prende forma, ma ciò che ha preso forma, a sua volta, può cambiarla.» (Breton)

Volendo a questo punto rientrare nello schema formulato inizialmente, dei: “due poli entrambi ricettivi, divisi da un intervallo vuoto e/o nullo (nihil) reso fruibile nell’immaginale”, approdiamo con più facilità a individuare i rapporti che intercorrono tra ‘simbolo, schema, immaginazione’ definiti nel titolo del libro:
«Oggi si sarebbe tentati di riservare lo studio a questo insieme di discipline abbastanza privo di rigore che si chiama “semiotica”, perché si occupa di segni, di qualsiasi natura essi siano, sia pure privilegiando lingua e linguaggio e con il primato e la guida della linguistica, che induce talvolta a subordinare l’antico ‘semeion’, nella plasticità delle sue accezioni, alla chiarezza e alla distinzione della parola scritta o parlata.»
Tuttavia ciò non basta a seguire uno ‘schema’ di per sé farraginoso che induce alla antinomia delle trattazioni, allorché si avvale della speculazione filosofica per affermare alcuni principi solo apparentemente indissolubili che, per contrasto, trovano in altre discipline (e altri autori: Heidegger, Levinas, Lacan, Frigo ecc.) la resilienza di una specificità indelebile. Inoltre ai già citati Jung, Corbin e Hillman si prenda, ad esempio, l’epistemologo del pensiero ‘postmetafisico’ Jacques Derrida tra le cui opere figurano almeno due testi importanti anche per questa trattazione:

“Margini della filosofia” (1997) in cui l’autore si concentra sul problema dei limiti della speculazione filosofica, problema da sempre "interno" alla filosofia, che si è costantemente interrogata sulla sua portata e ragion d'essere. E l’altro, “Pensare al non vedere - Scritti sulle arti del visibile” (2016) in cui tratta delle arti come problematicità: “che si rifrange ogni volta in una molteplicità lontanissima dall'essere omogenea. Per quanto ciò che concerne il visibile, infatti, si tratta sempre, anche se in modalità differenti nelle arti e rispetto alla scrittura, della traccia, del tratto, di spettri, e dunque di un "vedere senza vedere niente".
Per quanto, ciò che apprendiamo dal saggio di Stanislas Breton sull’opera di Rubina Giorgi assume valenza nella specifica dei sottocapitoli trattati: I: Simbolo, schema, immaginazione / II: Simbolo e Mediazione / III: Il problema dell’intervallo / IV: Immaginazione e Schema / V: Simbolo e Realtà. Nonché al rinvio a motivi di teologia a cui la riflessione simbologica si è ispirata. «Riferendosi a espressioni di Rubina Giorgi, Breton può evocare la parola ‘spirito’ in toni di “esistenzialismo religioso”» (C. Di Legge), forse più inerenti alla materia dogmatica per mezzo degli ‘schemi’ offerti alla speculazione intellettiva:

«Questa legge d’atmosfera che cinge di un’aureola il simbolo o piuttosto della qualesi cinge esso stesso, sarebbe come l’indicativo di trascendenza. Questa chiamata segreta a un “altrove” che ci lascia disorientati, questa continua trasgressione che ci impone un ascetismo dell’abbandono, non sarebbe , in ultima analisi, l’impronta del simbolico sull’essenza stessa dello spirito, se vogliamo ben ravvisare, sotto questo termine logoro, il respiro e la fiamma, di cui non si sa né da dove viene né dove va, ma che ci porta e ci condanna a non essere nessuna parte in tutti i luoghi che attraversiamo?»
La domanda, così concepita, richiede una certa dose di riflessione prima di trovare una risposta adeguata, sempre che la si trovi. Nel tempo molti sono stati i pensatori di tutte le discipline che si sono spesi nella ricerca, e i più addentro hanno trovato una o più ragioni ‘speculative’ per arrivarci e che, nel loro mettere insieme formule filosofiche e alchimie linguistiche, infine ci hanno offerto motivo di credere in quel ‘mondo estremo’ e forse ‘unico nella sua unicità’, comprensiva della temporalità originaria di natura simbolica che ci troviamo ad affrontare, di un’era evolutiva che ci vede protagonisti inconsci di una mitica realtà che forse non ci appartiene:

«Ma è chiaro che il dilatarsi e l’esplicitarsi, messo in opera dallo schema e dall’immagine (rappresentati nel testo), suggeriscono una linea di sviluppo all’infinito che non copre tuttavia la perfetta omogeneità del tempo postulato. Il tempo dell’immaginario, come quello della storia che lo nutre, è al tempo stesso racconto che spiega e memoria che raccoglie. Tempo ciclico e tempo lineare si fissano quindi in un tempo più profondo, […] che la densità dell’essere, la pienezza che si insinua, in certi momenti che miracolosamente sospendono l’uniformità della successione che affiora nell’Opera, quando essa è veramente Opera […] che restituisce all’uomo , contro la minaccia di dispersione e l’inerzia della natura, la poesia di un’espressione autentica» …

“..il punto di condensazione di una realtà possibile”.»

L’autore.
Stanislas Breton (Gradignan 1912-2005) fu teologo e filosofo francese. Entrato nell’ordine dei Passionisti, dopo l’insegnamento all’Università Pontificia di Roma negli anni Cinquanta, divenne professore di Filosofia all’Università di Lione e poi all’Università Cattolica di Parigi. Nel 1970 fu Maestro Conferenziere alla Ecolo Normale Supérieure: nominato da Louis Althusser, il primo filosofo cattolico a ottenere l’incarico. Stimato studioso del pensiero occidentale , con particolare riferimento ai testi della filosofia antica, e del pensiero contemporaneo attraverso l’esame dei testi e delle correnti più significative.
Suoi testi in italiano: inoltrre a quello qui presentato, figura “Filosofia e Mistica – Esistenza e Super-esistenza” – Libreria Editrice Vaticana 2001.

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