Titolo: IL LIBRO DELL'OPPIO (1975 - 1990)
Autore: CATERINA DAVINIO
Editore: Puntoacapo Editrice, Novi Ligure, 2012
Postfazione: Mauro Ferrari
Il libro dell'oppio, ovvero gli anni "maledetti".
Oppio e oppiacei, vizio letterario per eccellenza - con precedenti ed esponenti del panorama letterario, da Baudelaire a De Quincey, da Coleridge a Burroughs - trovano in quest'opera uno spazio non gravato da vittimismi né da pregiudizi, con una prospettiva delirante, ma libera da censure e tabù. Scrive l'autrice nella nota introduttiva: "Questi sono infermi (e infernali) paradis artificiels... Di certe malattie del corpo e dell'anima forse è meglio non parlare, dissimulare, non turbare la suscettibilità di chi al mondo riesce a dipartire con tanta sicurezza il bene e il male, la salute e l'afflizione, il paradiso e l'inferno. Infatti, questo libro è rimasto inedito, ed oserei segreto, per più di un ventennio".
Mauro Ferrari osserva nella postfazione: “È una poesia che raccoglie in un unico fardello un’esperienza di vita comunque piena edolorosamente gioiosa – avanzerei anch’io un ossimoro – che in Italia ha ben pochi uguali, e che non si rifugia nemmeno nel maledettismo più o meno di maniera, né tantomeno nel moralismo. […] Quella di Caterina Davinio è una poesia che gronda vitalismo, fisicità e corporalità, che credo ci faccia amare oltremisura la vita proprio perché affonda le unghie nell’abiezione, nell’azzardo e nella morte – nella sfida alla morte, anzi, e senza retorica, né nella costruzione dei versi né nella dimensione narrativa di questa sorta di diario allucinato e lucido. […] Storia? Sì, le date (a cavallo fra il 1975 e il 1990) ci raccontano di anni di piombo ed eroina; i singoli testi ci raccontano però una storia – meglio, ci offrono istantanee frammentate, a heap of broken images che non ambiscono a un’organicità assoluta – attraverso cui la ricerca del piacere (momentaneo ed effimero, come è sempre leopardianamente il piacere) si fonde con l’immersione nel dolore come sistole e diastole. La ricerca affannosa della droga è vagabondaggio, dilazione e attesa (« l’attesa è tutto »); la resurrezione alla vita dopo una notte di droga, o la lucidità che illumina fra due baratri è dunque la conferma terribile di quanto valga «quella vita che manca», di come essa vada corteggiata per sentirsi vivi un giorno di più, ebbri sul bordo dell’abisso”.
Presente al Salone del libro di Torino.
Reperibilità del volume:
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