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’Dinosauri Psicopompi’…elementi strutturali di poesia aliena

Argomento: Poesia

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 12/04/2022 14:20:57


“Dinosauri Psicopompi” … elementi strutturali di poesia aliena.
Una silloge di Paola Silvia Dolci, Anterem Edizioni/ Cierre Grafica 2022.

“Mi sveglio sempre prima
Della fine dei sogni.
Staccata,
come se venissi ritagliata
con le forbici dalla carta.”

È questa una proposta grafico-letteraria che prendendo spunto da frammenti poetico-mitologici di un passato assai remoto, pur sempre vivo in noi, propone una possibile costruzione di testo narrativo avulso da prerogative intenzionali e ipotesi critiche che, altresì, sminuirebbero l’effetto originale del testo. Quasi si fosse in presenza di una cercata decostruzione che si rivela nel ‘non detto’, paragonabile al ‘non finito’ di un’opera d’arte …

“Quando cala il buio, i fantasmi del mare si addensano, si avvicinano, si nutrono sia della notte, sia dell’acqua. Quando spunta il sole, i fantasmi, corrono ancora sul filo dell’acqua.”

Un’assenza, quindi, che assume qui l’istanza di un dire oltremodo alieno, in cui la parola conchiusa in sé, è rivelatrice di un approdo ultimo, definitivo, che impedisce di notare la prossimità della nostra presenza (di lettori), messa di fronte a una stesura insolita, i cui richiami, nell’immagine grafica che l’accompagna, proiettano, solo apparentemente, un vuoto di senso, allorché … “i sogni si associano alla conoscenza”.

Sì che l’avvio in solitaria ascensione verso il ‘vuoto oscuro’ (parimenti di un buco nero nello spazio), non incute paura alcuna, né soggiace a velleità di grandezza o potenza ctonia, ma si riversa nell’universale cosmico della conoscenza. Inutile quindi cercarvi un ‘senso altro’ che non c’è, l’autrice non lo rivela. Piuttosto allude a una coesione con la realtà liquida che stiamo vivendo, così come dischiudere ulteriori spazi alla creatività acrilica del nostro tempo …

“Ho gli occhi irritati dal sale,
la sabbia triturata tra i denti,
le ombre dense dell’isola si annidano,
nello scricchiolio lieve della barca, stanotte,
la tua presenza mi ha fatta sentire sola.
Devo diventare aria.”

Dacché il ritorno alla dicotomia di accompagnatori fortuiti che noi siamo, ‘psicopompi’ del nostro essere, sospinti verso un mondo estremo che ci aspetta al di là delle parole, dei nostri costrutti, dell’immaginario collettivo che ci accomuna nella fine, un ultimo approdo, antitesi di un disegno (forse) compiuto sulla carta (del destino) che necessita di ritagliare, scontornare, e bruciare tutto quanto è d’intorno di un’identità obliterata …
“Non riesco mai a ricordare il suo nome. […] Quando vorrei sottrarmi, resto. Chiede squarci della mia intimità, questa per me è la cosa più intricata. […] Non so perché resto, forse perché me lo chiede.”

Forse perché in ciò, si avvalora l’inizio di una nuova avventura, “la continua tensione di valicare un confine”, sintomo e soggetto di una velleità antropica mai venuta meno … “non bastiamo mai a noi stessi, mai ai nostri desideri” cita l’autrice: “Rimane la stanchezza, la rinuncia, - un’abulia quasi felice.” […] “Poi, da sogno a sogno … mi difendo con la paura. […] “Il nervo ottico rimasto in bianco, fulminato nel cuore del cervello.”
Ma non c’è paura, semmai l’incombenza di una necessità, voler sapere, voler comprendere, anzi no, piuttosto di voler conoscere quanto (di sé) è rivolto nel “Lo specchio sopra la mia testa, alle spalle del letto, riflette due volte la stessa immagine.” Un gioco di “piccoli ingranaggi”, uno dei più interni che si cela nel mistero di chi siamo, quale simbolo archetipo della trasformazione del Sé. Solo allora …

“Quando tutto sarà finito,
tutto ricomincerà daccapo. […]
Ci cambiano i sogni.
Mi capita di entrare nella testa degli altri.
Incidere la candela con il pugnale dal manico bianco.
Bruciare alla fiamma le foglie di alloro su cui ho scritto i miei desideri, alla luce della luna. Gettare le ceneri in mare. […] Che cosa voglio quando non percorro mai una strada fino in fondo (?). Sul mondo in frantumi distendere un cielo limpido che lo tenga di nuovo unito. […] La finestra su una piazza, o qualcosa …

… qualcosa che rievochi i ‘dinosauri psicopompi’ del passato che un giorno torneranno, così come gli déi ancestrali della nostra dismessa immaginazione.

Note:
Tutti i corsivi sono dell’autrice Paola Silvia Dolci, diplomata presso il Centro Nazionale di Drammaturgia. Attualmente collabora con diverse riviste letterarie. È traduttrice e direttrice responsabile della rivista indipendente di poesia e cultura “Niederngasse”. Alcune sue opere più recenti: “I processi di ingrandimento delle immagini per un’antologia di poeti scomparsi” – Oèdipus 2017; “Diario del sonno” – Le Lettere 2021.

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