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’Ostrakon’ composizioni per immagini di Alessandro Ghignoli

Argomento: Poesia

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 13/11/2022 12:06:23

“Ostrakon” … composizioni per immagini di Alessandro Ghignoli Anterem Edizioni – 2022.

 

Sì che alla luna…

come alla pagina bianca “ogni verso ‘scritto’ è grido di perdono”, s’addice chiedersi quale esigenza, se è lecito, la poesia ha ‘d’essere veduta’? Che cosa ha spinto l’autore alla sua visualizzazione grafica e disporla per immagini? Poiché l’immagine di per sé non necessita, come la poesia, d’essere ‘cantata’ o quantomeno letta e ‘ascoltata’, ma va semmai disposta sulla carta, dipinta sulla tela, fotografata, filmata e quant’altro offre oggi la più avanzata tecnologia in fatto di consumo, sì che si è finiti, è questo il caso, di dare ad essa …

“il contorno il limite e la forma / fino alla coscienza geometrica / di una razionalità si muove / l’immagine simmetrica e chiara / nell’equilibrio dell’insieme vivo”.

Che è poi esattamente l’opposto e/o il contrario del senso espresso da sempre dalla ‘poesia’ ufficializzata di imposti canoni letterari e che, per quanto abbia fatto il suo tempo, si permetteva al lettore di ‘capire’, per così dire, di ‘misurarsi’ con la propria memoria immaginifica, data la straordinaria capacità creativa d’immaginare dèi e demoni abitatori di mondi impossibili come ‘il paradiso’ e ‘l’inferno’, ed anche dare adito a eroi e mostri, per autopunirsi dell’inefficienza di un ‘perdono’ mai obliterato da alcuno…

“senza purezza pura / mista mista mistura / nello strano straniamento / parlatura […] così forte e dura dimora / non di moda è la parola / in trasmutanza”.

Non a casso Alessandro Ghignoli usa due sostantivi come ‘straniamento’ e ‘trasmutanza’ onde porre i suoi costrutti entro i limiti di un possibile/impossibile, per chi osa guardare e ascoltare, che aprono al ‘senso’ della sua inespressa voracità del "tuttuno", cioè di quell’insieme che dà l’esatta dimensione del tempo in cui viviamo, forsanche della società che ci siamo costruiti addosso…

“È nell’intermezzo, o nell’intervallo di suono / dove anch’io posso dire un poco io sono, / nella perdita e nella permuta di ogni caduta”.

Scrive ancora l’autore in un’altra sua involuta ‘composizione per immagini’ in cui “l’istantanea di una transizione” si presta a quel “io sono” cui per un precipuo concetto di finitudine non è dato sapere. Sì che ognuno può dirsi ‘forma’ e ‘pensiero’ di quello che è…

“l’abisso che sprofonda nella solitudine di chi si è / giammai dire io sono / io sono, io sono, se mai io sono / […] corpi e anticorpi della meschinità / indignazione (?), moralismo (?) / condizione dell’essere che ‘non è’ / che non è dato d’essere (?) /muti nel tempo che stanzia / nella totale mancanza di volere”. (GioMa) …

Allora cos'è, cosa non è quell'io cui dobbiamo la nostra essenza?

 

“sputa ciò che tutto / dentro il vissuto muta / ci sono non ci sono / solo le parole sono /la maschera vera / la vera cera impressa / di voce rinata ancora / in una terra promessa /immune in me insieme /nei miei me stessi me.”

Quand’ecco l’ultimo verso torna al principio, a quel “grido di perdono”, al “la stessa preghiera / l’odore del dolore / il grido di ogni verso”. Quello stesso grido che Munch ha levato, solo apparentemente 'muto', eppure così pregno d’angoscia per la sorte di chi l’osserva, più del singolo grido un vero e proprio ‘urlo’ contro la cecità dell’umanità intera.

Quel dipinto che alla luce dell’arte possiamo ricondurre a un antico “Ostrakon”, dal titolo della raccolta da Alessandro Ghignoli, più propriamente al pezzo ‘rotto’ di terracotta dipinta che a suo tempo riportava l’immagine di una ‘presenza’ umana poi trasformata in ‘assenza’ e tuttavia propria dell’essenza ch’era stata…

“sono tutti questi corpi questi effetti di corpi uno sull’altro vicino e lontano l’altro forme indiscusse e spettacolari di forme contenute in spazi fuori i meccanismi […] in lingua viva e intrecciata e poi morta e poi riscoperta oltre il nuovo il monolinguismo somigliante […] di quella parte in allegoria in questa viva vitale vita alfabetica i solchi i solchi i solidi soliti sordi ascolti e poi e ancora voi noi alla ribalta in rivolta volta a chi sa a chi nelle favole perde il certo per l’incerto”.

In altro modo l’autore affida ai versi e alle immagini composite d’una scrittura ‘graffita’, seppure nel rimescolio delle tecniche moderne, di recuperare l’ininter-rotto messaggio dell’"Ostrakon", che ci parla dal passato, per quanto vagheggiato ed elaborato, che pur sempre denota la sua caducità di frammento che Stefano Guglielmin ben definisce - nella sua postfazione al libro – in quel:

«…sopravvivere nei lacerti semantici, nelle censure e nelle cancellazioni, nel cercare l’unità in lingue altre, vive e morte, in un meticciato inevitabilmente caduco; la stessa caducità che ci pervade prima nel corpo e poi nella parola, che è anch’essa - qui anzitutto - corpo, materia sonora e visiva. […] dove, l’apparente artificiosità stilistica che cerchiamo nella poesia contemporanea» s'avvale dell'imprinting originario che ha dato forma ad "Ostrakon"…

“scrivi tutte le parole possibili - dice ancora l'autore - copiale registrale diffondile con fotocopie e libri scrivile tutte e poi cancellale e poi scrivile e poi riscrivile tutte ancora insieme dille dopo solo dopo solo davvero dopo cancellale ancora e ancora anche dopo”, ... e ancora fino all'infinito.

 

L’Autore.

Alessandro Ghignoli, poeta, critico e traduttore di lingua spagnola e portoghese ha all’attivo un’ampia produzione letteraria anche in prosa. È vincitore del Premio Lorenzo Montano 2009 con “Amarore”. Più di recente tra le monografie va ricordato “La comunicazione in poesia. Aspetti comparativi del Novecento spagnolo” 2013, e “Transcodificaciones de avanguardia en Italia”.


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