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“L’Italia delle crisi” e gli economisti

Argomento: Storia

di Enzo Sardellaro
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Pubblicato il 23/12/2014 20:19:52

Epicarmo Corbino (1890-1984)  e l’Italia di Depretis

Che l’Italia sia praticamente  in crisi  un po’ da sempre non è una semplice impressione personale (forse condivisa da molti), ma un dato di fatto difficilmente confutabile. Tale impressione è viepiù rafforzata allorché si viene a leggere qualche pagina di uno dei più notevoli economisti italiani del  ‘900, Epicarmo Corbino (Ministro del Tesoro nel Governo De Gasperi tra il 1945 e il 1946),  il quale fu un economista con una forte propensione per la storia, nonché un profondo conoscitore di politica e anche di uomini. Rileggendo alcune sue pagine, non si può non rimanere stupiti non soltanto della sua dottrina, indiscutibile e di altissimo livello, ma anche delle sue straordinarie capacità di tracciare profili indimenticabili di cose  economiche e storiche, venate oltre tutto d’una sapiente ironia che non guasta mai, anche allorché egli trattava argomenti estremamente seri dell’Italia  tra gli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento. Decisamente interessanti, e per vari versi anche divertenti , furono alcune sue riflessioni sulla “qualità” che dovevano possedere i vari ministri delle finanze italiani.

 

“L'esperienza di questo periodo [1881-1890] della finanza italiana ci consente di affermare che quando un capo di governo ritiene necessario dare alla finanza un indirizzo energico, diretto a salvare ad ogni costo l'avanzo, il portafoglio delle finanze deve essere dato ad un uomo di scarsa immaginazione, ma di schiena molto dura. Un uomo cosiffatto dà affidamento che la finanza sarà salvaguardata dagli attacchi di coloro i quali vogliono aumentare le spese senza aumentare le entrate. Quando, invece, si voglia porre la finanza in una posizione secondaria, rispetto alle altre necessità dello Stato, allora, il tipo più adatto di ministro è quello dell'ex-funzionario, di grande talento inventivo, e capace di ricorrere a tutti gli artifici necessari per salvare le apparenze, mentre si rovina la sostanza. Ora se Depretis e Crispi avessero voluto fabbricarsi un uomo adatto alle loro esigenze politiche, non sarebbero mai riusciti ad ottenerne uno migliore di quello, che le vicende politiche portarono al posto prima tenuto dal Sella e dal Minghetti”.

 

Lo  “straordinario”  ministro delle Finanze cui accennava Corbino era “Agostino Magliani [che]resse le sorti della finanza italiana per un periodo che non aveva precedenti e non ebbe esempio dopo di lui. Dal dicembre 1877 al dicembre 1888, cioè per ben undici anni, salvo due brevi interruzioni, egli tenne il portafoglio delle Finanze e quasi sempre quello del Tesoro, restando al suo posto con tutti i ministeri, attraverso tutte le vicende parlamentari”. Non abbiamo ulteriore spazio per soffermarci  ancora sull’ottimo Agostino Magliani, che però troveremo un po’ più avanti, fatto oggetto di una battuta di Bonghi. A parte le battute, Epicarmo Corbino fu anche un osservatore estremamente attento alle condizioni sociali delle masse popolari italiane, tenute, nella stessa Roma e alle soglie del nuovo secolo, il 1900, ad un livello di vita pressoché  simile “a quello di qualsiasi più selvaggia tribù dell'Africa centrale e della Polinesia”. Il suo cenno ai “guitti” di Roma resta ancora oggi uno spaccato di vita difficilmente eguagliabile:

 

“In uno dei suoi primi discorsi alla Camera il Sonnino così descriveva le abitazioni dei guitti : ‘A 5 o 6 miglia dall'alma città, in vista ancora della cupola di S. Pietro, si trovava gente che viveva in uno stato uguale a quello di qualsiasi più selvaggia tribù dell'Africa centrale e della Polinesia. In un'angusta grotta scavata nel tufo, la quale giungeva appena ad altezza d'uomo e restava aperta la notte al vento ed alla umidità esterna, erano pigiate insieme una ventina e più di persone di sesso diverso. E poiché il Governo aveva dichiarato di volere prendere provvedimenti solo dopo avere avuto i risultati di un'inchiesta, egli soggiungeva di essere certo che, se l'on. Ministro dell'Interno avesse visitato una sola volta uno di questi abituri di guitti, ne avrebbe risentito un'impressione così dolorosa, da non aspettare più i lenti risultati di tarde inchieste per cominciare a provvedere in qualche modo, e a riparare a questo grave sconcio sociale, di cui la responsabilità pesava quasi interamente sui proprietari dei fondi, poiché era questione sopratutto (sic) di caseggiati e di locali, in latifondi posseduti da ricchissimi signori, da opere pie e fino a poco tempo prima da capitoli di chiese e monasteri. Bell'esempio di carità ecclesiastica, egli diceva nel conchiudere’”.

 

Negli anni ’80, sotto il governo Depretis, le condizioni   dei contadini italiani, costretti a vivere in “isquallide tane”,   erano, secondo Corbino,  a dir poco allucinanti:

 

“Non era più possibile nascondere, e lo ammetteva lo stesso Depretis nel suo discorso programma dell'ottobre 1882, che nelle città e nelle campagne intere famiglie vivevano agglomerate in isquallide tane; che ogni principio di igiene era loro ignoto od impossibile: non buone acque potabili, non aria sana, nessuna applicazione, insomma, di quelle discipline destinate a far diminuire la mortalità, e a far sì che l'uomo cresca sano e robusto, secondo le leggi di natura . Il colera del 1884 richiamò l'attenzione del Governo sulle tristi condizioni sanitarie di molti Comuni del Regno. Un'inchiesta fu ordinata a questo proposito, ed i risultati di essa, consacrati in una relazione, che fu una vera rivelazione, misero in evidenza il molto, anzi il moltissimo, che si doveva ancora fare in questo campo.  Deficientissimo risultò allora in molti Comuni il rifornimento di acqua potabile, ma dopo l'epidemia colerica si fece maggiore la cura del Governo e delle amministrazioni locali per migliorare, da questo lato, le condizioni igieniche del Paese […]Fognature, latrine e focolari mancavano del tutto in molti Comuni, erano scarsi in moltissimi altri, e solo in pochi si presentavano in condizioni decenti ed igieniche. La nettezza urbana era spesso affidata ai proprietari frontisti, o mancava del tutto; la pulitura dei pozzi neri era fatta per lo più con mezzi scoperti, ed è agevole pensare quanto ciò contribuisse alla diffusione delle malattie infettive. Il lavoro da compiere per mettere un po’ d'ordine in questo caos sanitario era enorme, e bisogna riconoscere a Crispi di avere intuito la gravità del problema”.

 

Venendo ora alla storia politica del nostro Paese all’indomani dell’Unità, Corbino tratteggiava un quadro estremamente convincente delle vicende politiche dell’Italia di quegli anni, con osservazioni che, stranamente, hanno tutto il sapore di un’incredibile “contemporaneità”:

 

“All'inizio del decennio era al potere Cairoli, con Depretis allo interno. Il ministero, nominato nel novembre 1879, aveva rinnovato la Camera nel maggio 1880 e viveva nella tranquillità consentita dall'opposizione del gruppo di estrema sinistra, e da quella, molto più temperata, dei residui della vecchia Destra. Dopo un ventennio di regime parlamentare, durante il quale si era consolidata l'unità nazionale, non mancavano da noi gli scontenti e correva, naturalmente, anche da noi il vezzo di schernire il Parlamento e i troppi discorsi dei deputati, e nel ripetere siffatti triviali giudizi, si rimpiangevano i tempi nei quali si andava per le spiccie e non ci si lasciava soffermare dalle chiacchiere”.

 

La “decadenza del Parlamento”

 

“Talvolta le recriminazioni sulla decadenza del parlamento venivano dagli stessi banchi della Camera, come quando il Lacava di Sinistra ne attribuiva la causa al collegio uninominale […] Si discuteva allora la proposta di riforma della legge elettorale politica, ma prima ancora che la discussione si concludesse il Ministero fu attaccato sull'andamento della politica estera per la questione di Tunisi; ed il Cairoti battuto presentò le dimissioni […] Sotto il Depretis furono, risolti parecchi problemi importanti, e fu approvato il trattato di commercio con la Francia. Intanto nel maggio-giugno 1881 era stato presentato il disegno di legge per la riforma della legge elettorale politica e l'adozione dello scrutinio di lista, riforma sanzionata con la legge 7 maggio 1882, n. 725, che rendeva necessaria la rinnovazione della Camera”.

 

“La XIV Legislatura fu chiusa il 25 settembre 1882; le elezioni ebbero luogo nell'ottobre senza giustificare né i sinistri presagi, né le liete previsioni, che erano state manifestate come possibile effetto delle modificazioni al diritto elettorale ed al sistema di votazione. Fu in questa occasione che prese forma concreta quella fase della nostra vita politica, che è nota con il nome di ‘trasformismo’, avendo il Depretis invitato a collaborare all'attuazione del programma governativo tutti gli uomini di buona volontà”.

 

I Partiti, dopo il “trasformismo”:

 

“La discussione che si svolse alla Camera nel maggio 1883 è interessante per il fatto che, per oltre dieci giorni, le più eminenti figure del nostro mondo politico si sforzarono di vedere che cosa restasse dei vecchi partiti, e se il programma e l'azione del Governo si svolgesse secondo le direttive della Destra o della Sinistra. Fu infatti allora che dalla Destra, scesa in campo coi suoi più eloquenti e più dotti oratori, si sostenne che i partiti erano morti, che essi costituivano un mero ricordo storico, un vieto anacronismo, che Destra e Sinistra erano questioni bizantine, arcadia politica, vano suono di non intesi nomi”.

 

“Trasformismo” e “comicità”:

 

“In sostanza, diceva lo Zanardelli, si verifica questo fatto curiosissimo: tutti gli uomini di Destra, che erano contro il Depretis,, sono  passati con lui; quasi tutti gli uomini della antica Sinistra, che erano con lui, se ne sono separati, ed era perciò necessario dire che gli uni e gli altri avevano tutti perduto completamente il senno, ed avevano tutti mutato, per poter dire che il solo che non mutava era il Depretis!”.

 

Il giudizio di Giovanni Giolitti: Depretis? “Un uomo di buon senso”

 

“La parola ha avuto cattiva fama, che si è ripercossa sull'uomo, che fu accusato di scetticismo e di cinismo, ma né al trasformismo mancarono profonde ragioni politiche, né il Depretis meritava quel giudizio : egli era un uomo in cui era assai sviluppata una delle principali doti dell'uomo di governo; il buonsenso . Questo giudizio del Giolitti risponde, secondo me, alla natura delle cose : ormai nelle grandi questioni, che il paese doveva affrontare, prevaleva la parte tecnica; si trattava di vedere quali soluzioni fossero le più convenienti, non secondo un programma teorico, ma secondo gli aspetti concreti, che presentavano i vari problemi. E perciò aveva ragione il Depretis quando, nel 19 maggio 1886, difendendosi dall'accusa di aver provocato la confusione dei partiti, diceva :  ‘Quanto all'adesione di una gran parte degli uomini che appartennero all'antica Destra, chi non vede che la forza stessa delle cose, la risoluzione delle questioni che ci avevano divisi, il loro consenso alle opinioni, alle proposte nostre, almeno nelle parti essenziali, li condusse naturalmente a noi, come altri si separarono da noi, o in conseguenza di crisi parziali, o perché si mostrarono dissenzienti sopra concetti di capitale importanza che pure avevamo chiaramente dichiarati?”.

 

Depretis: la “personificazione del disagio”

 

“La maggioranza formatasi nel maggio 1883 si andava frantumando determinando nel paese uno stato di antipatia verso la Camera in genere, e facendo puntare gli strali dell'opposizione di Sinistra, alla Camera, e dei gruppi contrari al governo, nel paese, contro la persona del Depretis, accusato, come egli stesso ebbe a dire il 19 maggio 1886, di avere fuori umiliato la Patria, dentro, con subdole arti di governo, incoraggiata e quasi insegnata la immoralità politica. Non più che tre anni addietro egli, il Depretis, pareva ed era il solo naufrago della Sinistra storica, il solo che potesse essere con fortuna al timone dello Stato. Dopo solo tre anni su quel nome, già tanto rispettato per doti innegabili di rettitudine e di amor patrio, si raccolsero violenti e impetuosi tutti i rancori e i malumori del giorno: quell'uomo cosi ponderato nell'agire, cosi alieno dal destare invidie e gelosie, sembrò personificare ogni causa del disagio in cui viveva il paese, ogni motivo del malessere che travagliava tutti”.

 

Dogali, la guerra e la “fiducia” al Governo

 

Sotto il nuovo  governo  Depretis, “Tutto procedeva in relativa calma quando arrivò fulminea la notizia della tragica, ma gloriosa giornata di Dogali. Il 28 gennaio del 1887, la colonna De Cristoforis, mentre si recava da Massaua a Saati, per aiutare quel forte, attaccato dal nemico, fu assalita dagli abissini nella gola di Dogali. Erano i nostri 512 contro una diecina di migliaia di nemici, e si batterono da eroi, fino a quando sul campo non rimase un uomo vivo o in grado di combattere, e caddero tutti come se fossero allineati: di 512 uomini solo 80 sopravvissero alla strage, ma anch'essi con molte ferite. L'impressione nel paese fu enorme e, come sempre accade in questi casi, il Ministero dovette pagarne il fio. Il Governo domandò 5 milioni per i primi rinforzi da inviarsi nel Mar Rosso, e niuno o quasi fece opposizione alla domanda, anzi la legge fu poi approvata con 317 voti favorevoli e solo 12 contrari. Invece sulla questione di fiducia, il Ministero che, poco prima, il 27 gennaio, aveva raccolto senza sforzo una maggioranza uguale a quella del giugno 1886, ne ebbe una di soli 34 voti”.

 

Il giudizio di Corbino sull’uomo Depretis e sull’ “onnipresente” Ministro Magliani:

 

“Dall'epoca dell'avvento della Sinistra (18 marzo 1876), al giorno della sua morte, salvo due brevi interruzioni durante i primi due Ministeri  Cairoli, Agostino Depretis fu il capo della vita politica italiana, ma di temperamento pacifico, portato per natura più a girare gli ostacoli che a superarli, egli fu più uno strumento del giuoco delle forze politiche, che una volontà coordinatrice delle forze stesse. Non desiderò mai le maggioranze strabocchevoli, ma spesso si contentò di andare avanti con maggioranze esigue, vincolando perciò l'azione del Governo alla necessità di continui compromessi. Non ebbe mai avversari poderosi, né nella vecchia Destra, che egli disarmò impadronendosi dei punti più comodi del suo programma, né  nella Sinistra Storica e nel partito progressista i cui capi avevano forse la convinzione che anch'essi non avrebbero potuto fare diversamente”.

 

“Più che capace di influire sull'ambiente, Depretis era il tipo rappresentativo della, deformazione dell'istituto parlamentare che trovava nell'opportunismo e nell'individualismo i suoi sintomi rivelatori, e che si manifestava con l'incompostezza e il disordine dei partiti, il continuo decomporsi e ricomporsi di gruppi e di fazioni senza alcun concetto politico. Mancò spesso al Depretis l'energia di affrontare problemi seri, come quello della finanza, dove gli faceva comodo mantenere l'onorevole Magliani, nonostante che ciò gli procurasse, fin dal 1884, un dissidio con un sempre più importante gruppo di deputati. Forse egli non volle disfarsene per tema di farsene un nemico, perché, come ebbe a dirgli il Bonghi, egli era ‘un uomo fortunato a cui mancava una sola fortuna, quella di mantenersi amici gli amici, anche quando cessava di mantenerli ministri’”.

 

Il giudizio conclusivo di Epicarmo Corbino su Depretis, l’ultimo dei “sopravvissuti”  del Risorgimento

 

“La sua morte fu dannosa all'Italia sopratutto per il momento delicato in cui avvenne, perché tolse alla vita politica italiana un uomo di grande buon senso ed un elemento moderatore, la cui influenza avrebbe attenuato la impulsività del  Crispi ed avrebbe evitata la rottura commerciale con la Francia. La sua scomparsa riduceva ormai a poche persone i sopravvissuti dell'epoca del Risorgimento, e fra essi solo il Crispi aveva una posizione di primo piano”.

 

Nota

 

E. Corbino, “Annali dell’economia italiana”, Città di Castello, 1933, Vol. III (1881-1890), pp. 1-38.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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