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Il sogno di Francesco un film con Elio Germano

Argomento: Cinema

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 10/10/2016 08:17:58

Il sogno di Francesco: gioia e rivoluzione di un santo.
di Camillo De Marco, in collaborazione con Cineuropa News.

05/10/2016 - Il film di Renaud Fély e Arnaud Louvet su San Francesco d’Assisi e il suo amico fraterno e seguace Elia da Cortona è interpretato da Elio Germano e Jérémie Renier
La gioia nella povertà e nell’umiltà. E’ questo che predica San Francesco d’Assisi nel film Il sogno di Francesco in uscita in Italia il 6 ottobre con Parthénos e a fine anno in Francia con Haut et Court. Una coproduzione tra Francia, Italia e Belgio di Æternam Films con MIR Cinematografica, Rai Cinema e Entre Chien et Loup, il film è diretto da Renaud Fély e Arnaud Louvet, che lo hanno anche scritto assieme a Julie Peyr, con la collaborazione di Elizabeth Dablemon. Fely è al suo secondo lungometraggio dopo Pauline et François [+], prodotto da Louvet, che è invece alla sua prima regia dopo numerose collaborazioni produttive (inclusi Viva la sposa di Ascanio Celestini e Io sono Li di Andrea Segre).

Regia: Renaud Fély, Arnaud Louvet

sceneggiatura: Renaud Fély, Arnaud Louvet, Julie Peyr, Elizabeth Dablemont

cast: Jérémie Renier, Elio Germano, Yannick Renier, Eric Caravaca, Marcello Mazzarella, Alba Rohrwacher, Olivier Gourmet

fotografia: Léo Hinstin

scenografia: Frédéric Lapierre

costumi: Marie-Laure Pinsard

musica: Grégoire Hetzel

produttore: Arnaud Louvet, Francesca Feder

produzione: Aeternam Films, Mir Cinematografica S.r.l, Rai Cinema, Entre Chien et Loup, France 3 Cinéma, Rhône-Alpes Cinéma


Il vero protagonista de 'Il sogno di Francesco' non è tuttavia il santo d’Assisi, impersonato da Elio Germano, ma piuttosto il suo amico fraterno e seguace Elia da Cortona, interpretato da un Jérémie Renier in “stato di grazia”. E’ proprio questo punto di vista originale che caratterizza il film e costituisce l’elemento che lo distingue dalle opere sulla figura di Francesco di maestri come Rossellini, Cavani e Zeffirelli. E’ il rapporto tra i due personaggi che i registi vogliono mettere a fuoco per sottolinearne le differenze stridenti. Francesco, con un ideale purissimo che va al di là delle cose terrene. Elia, devoto e spiritualmente motivato ma allo stesso tempo pronto al compromesso per raggiungere gli scopi prefissi. Con una regia delicata e minimalista Fely e Louvet mettono a confronto i due personaggi storici per tracciarne un ritratto umanissimo e attuale.

Siamo nel 1209 e papa Innocenzo III ha appena opposto il suo rifiuto all’approvazione della “Regola” che dovrebbe dare legittimità alla confraternita che si è formata attorno a Francesco. Il futuro santo vive in assoluta povertà accanto ai bisognosi ed è insofferente alle gerarchie ecclesiastiche, contrario ad ogni controllo e compromesso con Roma. “Non si mercanteggia la libertà”, dice al suo amico Elia che tenta di convincerlo a rendere meno “radicale” il documento e salvarlo dalle insinuazioni sulla sua ereticità. All’amica e collaboratrice Chiara (Alba Rohrwacher) confida: “Vogliono un capo, ma io non lo sarò mai”. La diversità del giovane Elia, di famiglia altolocata e fresco di studi giuridici, è evidente. Quello che diventerà un importante uomo politico e consigliere di Federico II di Svevia ha lasciato tutto per vivere con Francesco e aiutarlo a costruire un mondo migliore. Vuole coltivare un orto per poter dare da mangiare ai derelitti e “combattere la povertà”, ma gli altri seguaci di Francesco gli obiettano che bisogna combattere piuttosto la ricchezza. Ma Elia non è un contemplativo. Su consiglio del cardinale Ugolino (Olivier Gourmet) e approfittando dell’infermità di Francesco, Elia cancellerà di sua mano i riferimenti più “estremisti” al Vangelo, ai quali Francesco teneva molto, e riuscirà a far approvare la “Regola”. Francesco accetta il suo ruolo di intermediario ma non lo perdona e prima di tornare ai suoi poveri, gli intima di non seguirlo e di rimanere a rappresentare la confraternita presso le istituzioni ecclesiastiche. Elia lo raggiungerà anni dopo, nel 1226, nella grotta della Verna, presso Arezzo: Francesco è in fin di vita e su mani e piedi sono apparse le stigmate.

La pellicola di Louvet/Fely va presa così com’è, in un delirante misticismo a fin di bene per i poveri e i derelitti, tutto inclinato sulla sincopata visionarietà dovuta all’interpretazione agitata e sovraccarica dell'attore protagonista, silenzioso e fedele sigillo all’illuminazione avuta dal santo in vita. Il principio ideale di questo film è tutto qui.

Da ‘Il Fatto Quotidiano’ di Davide Turrini | 5 ottobre 2016.

Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi. All’insolito duo di registi Arnaud Louvet (solitamente produttore e sceneggiatore) e Reanud Fely (al secondo lungometraggio) nessuno deve aver suggerito il vecchio adagio italiano. Il sogno di Francesco, dal 6 ottobre nei cinema italiani, infatti ha quell’andamento lento e contemplativo di un’agiografia volontaria e ragionata del santo più amato dal belpaese e non solo. Il San Francesco d’Assisi di Louvet/Fely va preso così com’è, in un delirante misticismo a fin di bene per i poveri e i derelitti, tutto inclinato sulla sincopata visionarietà dovuta all’interpretazione agitata e sovraccarica di Elio Germano, silenzioso e fedele sigillo all’illuminazione avuta dal santo in vita. Il principio ideale di questo film è tutto qui.
Ciò che concettualmente e spiritualmente non segue la purezza di Francesco è pregiudizialmente robetta, compromissione, sofferto tradimento. Aiutato dal coro di frati, ancor prima apostoli del francescanesimo in nuce, il protagonista del film, ancor più che nel delirio camp di Franco Zeffirelli (Fratello sole, sorella Luna), o nell’inguardabile versione fango-sudore-lacrime della Cavani 1989, è venerato a priori per lo spettatore ignaro come nemmeno in una cappella votiva. Difficile scansare questo macigno “politico” che adombra l’intero percorso narrativo del film. Che poi non è tanto il biopic sul santo umbro, ma il racconto dell’incrinarsi di un’amicizia, del consumarsi di un tradimento, quello tra Francesco l’utopista ed Elia da Cortona il pragmatico. Quest’ultimo (interpretato da Jeremy Renier) si affannerà per l’intera esistenza, buona parte passata dietro la tonaca di Francesco, a fargli modificare “Regola” per essere accettati più facilmente da papa Innocenzo III. Per questo obiettivo palese dello snaturato valore compromissorio, l’utopia svenduta per una calma apparente e futura, massimalismo contro riformismo di ogni latitudine ideologica e politica del pianeta terra, Elia per il rimorso tenterà perfino un incredibile suicidio (fonte storica da cui è tratto l’episodio non pervenuta) e soffrirà come una bestia per l’eternità.
Nonostante l’ipocrita deviazione su un supposto protagonista parigrado del racconto, Il sogno di Francesco è invece sentenza imperitura su cosa sono bontà, fratellanza e pace con lo spessore intellettuale del catechismo della domenica mattina; un salmodiare di tesi, per carità condivisibili, ma che nella loro continua reiterazione diventano drammaturgia spicciola e ridondante, frasario semplificato di un’esaltazione. C’è poi questa straordinaria atmosfera da cinema art house un po’ posticcio, inquadrature qua e là vagamente antinarrative, una conclamata estetica “vorrei ma non posso”, particolari che rendono la ricostruzione storica e i dettagli consunti degli abiti in scena qualcosa di parecchio svuotato e distante, perlopiù sistemati in sequenze in cui l’unica attesa in religioso silenzio è per la lapidaria massima francescana del momento. “Il sogno di Francesco è un’avventura sentimentale e politica e queste due cose ne fanno una sola”, hanno spiegato i registi. “All’opposto del potere dominante, Francesco reinventa una vita libera, spogliata da ogni attaccamento materiale, che rimette il bisogno dell’altro al centro di tutto, cosa che per l’epoca costituiva una vera e propria rivoluzione. Il suo carisma, il suo talento oratorio e la sua autenticità ne attirarono al seguito personaggi di tutti i tipi: letterati, eruditi, crociati pentiti, clerici e laici e persino contadini e miserabili. Tutti questi uomini vivevano insieme. Il movimento si estese, cominciando a creare dei problemi al potere costituito. Questo insieme di rivolta mite, di profondo umanesimo e di utopia collettiva ci sembrava magnifico da raccontare”.


Nel corso della sua carriera, Elio Germano ha ottenuto, tra gli altri premi, tre David di Donatello per il miglior attore protagonista per Mio fratello è figlio unico, La nostra vita e Il giovane favoloso. Per La nostra vita ha vinto anche il Nastro d'Argento al migliore attore protagonista ed il Prix d'interprétation masculine al Festival di Cannes 2010.

Nel 2014 è protagonista del film Il giovane favoloso diretto da Mario Martone, dove interpreta Giacomo Leopardi, per il quale ottiene il terzo David di Donatello per il miglior attore protagonista, il Premio Pasinetti al miglior attore alla 71ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, e il Nastro d'argento al personaggio dell'anno.

'Viaggio al termine della notte', liberamente tratto da Louis-Ferdinand Céline, di e con Elio Germano e Teho Teardo (2011-2016)

'La Vita Nuova' - cantata per voce recitante, soprano e piccola orchestra, di Nicola Piovani - Ravenna Festival (2015)






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