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Intervista a Cassandra - a Christa Wolf

Argomento: Letteratura

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 13/12/2011 18:53:26

“INTERVISTA A CASSANDRA” ... in memoria di Christa Wolf

“Tremila anni … ecco dove accadde. Lei è stata qui. Questi leoni di pietra, ora senza testa, l’hanno fissata. Questa fortezza (Micene), una volta inespugnabile - cumulo di pietre ora - fu l’ultima cosa che vide”.
Nessuno la credette allora, nessuno le avrebbe creduto – mito nella leggenda, intessuto nella tela dei secoli:
“Tremila anni … - così il verdetto del dio si mostrò duraturo: nessuno le avrebbe creduto” – mai per l’eternità.
Nessuno le crede ancora sebbene il suo fantasma si aggiri ancora come altre volte (quante) nel passato, sui guasti della guerra: Troia come Micene, Varsavia come Beirut, Afganistan come Birmania, come … quante altre? – Un nemico da tempo dimenticato e i secoli, il sole, la pioggia, il vento, l’hanno spianate. Immutato è rimasto il cielo, un blocco d’azzurro intenso, alto, distante:
“Vicine, oggi come ieri, le mura ciclopiche che orientano il cammino: verso la porta dal cui fondo non fiotta più sangue. Nelle tenebre. Nel macello. E sola.”
Cassandra! … la cui voce ha fatto tremare un tempo le mura di Troia, sfuggita al destino mitico che la teneva imbrigliata, è tra noi, nelle pagine di un libro audace, almeno quanto i personaggi della tragedia eschilea a sciogliere furtivamente i nodi della verità occultata per così lungo tempo. Quella verità che non appartiene alla storia, ma è vissuta interiormente dal personaggio che reclama di diritto di entrarne a far parte da protagonista. Un personaggio di secondo piano, una comparsa si direbbe in gergo teatrale: che viene inavvedutamente alla ribalta e che improvvisa una parte non assegnatale. Ma che si riscatta – infine – per essere rimasta nella penna dei suoi autori, come nel pensiero di quell’Apollo che le aveva conferito il dono della veggenza, e il cui verdetto risuonò come un anatema nell’eco dei secoli.
Lei, Cassandra … la cui figura mitica, di eroina vigorosa e temibile, improvvisamente proiettata nel presente nella scrittura di Christa Wolf, che nelle pagine del libro recupera la sua anima inquieta, il suo sguardo, la sua voce di sacerdotessa – “per darci il racconto della liberazione femminile e del bisogno di pace” – universali.
“Voglio pregarvi di seguirmi in un viaggio …” – scrive Christa Wolf riferendosi a un viaggio fatto in Grecia ma anche alle vie percorse, dopo che Cassandra ha “preso possesso di lei”:
“La vidi subito. Lei, la prigioniera, mi imprigionò, lei, oggetto essa stessa di fini che le erano estranei, si impadronì di me. L’incanto ebbe subito effetto. Credetti a ogni sua parola. Provare una fiducia incondizionata era ancora possibile. Tremila anni-dissolti … Mi sembrò degna di fede … mi parve che in questo dramma, forse l’unica a conoscere se stessa”.
Iniziamo così a seguirla tra le rovine delle città greche, nella discussione delle teorie degli archeologi, attraverso la ricostruzione della storia dei miti, sulle tracce di una società (forse) matriarcale, (forse) pacifica, alla ricerca di un passato mitico. Cassandra ... la veggente figlia di Ecuba e Priamo attende la morte nella fortezza di Micene. Agamennone, il vincitore che l’ha condotta con sé da Troia distrutta, ha già varcato la soglia oltre cui morirà per mano di Clitennestra, sua sposa. Da questo punto la narrazione scivola all’indietro, lungo i dieci anni della guerra di Troia, fino alla sua fanciullezza. Nell’arco di un tramonto nel cielo arrossato di Micene, la principessa troiana ripensa al cielo fiammante di Troia in rovina e subito le tornano alla memoria la traversata dell’Egeo in tempesta, l’arrivo a Troia delle Amazzoni, gli orribili delitti di Achille la bestia, la rottura con il padre Priamo, accecato dal meccanismo inarrestabile della guerra …
Ma Christ Wolf – scrive Anita Raja che ha curato la traduzione delle sue opere in italiano e la colta introduzione al testo – non si consola con l’idealizzazione di condizioni sociali primitive, illusoria e pericolosa concessione all’irrazionalismo. Prosegue esplorando le vie del gelido pensiero maschile - in contrasto con la vita nelle comunità femminili sulle rive dello Scamandro e lo stesso amore di Cassandra per Enea – come anche quello della patriarcalizzazione, fino agli esiti ultimi della perdita di senso della letteratura, della feticizzazione, della minaccia atomica:
Che cosa può fare Cassandra, (come ogni donna), schernita, inascoltata, dichiarata fuori della norma, in questo territorio maschile dove domina un’estetica inventata per proteggersi dalla realtà? Può parlare, scrivere, non più storie di eroi, di guerra e di assassini, ma forse, dare concretamente un nome alla preziosa vita quotidiana, trovare parole adeguate per ciò che “ci riservano gli anonimi tecnici della pianificazione nucleare”, oppure raccontare la lotta delle donne e degli uomini per diventare soggetti l'uno dell'altro (?).
Scrive ancora Christa Wolf:
“Senza sapere ciò che cercavo, e solo perché sarebbe stato imperdonabile lasciarsi sfuggire quell’occasione, volli partire per la Grecia. Sui moduli scrissi «turismo» a motivo del viaggio, tacqui a tutti, anche a me stessa … ho più simulato che provato un’attesa gioiosa e mi sono attenuta soprattutto a una disposizione ironica «cercando con l’anima la terra dei greci», col pretesto di voler assaporare impressioni non mediate mi sono solo scarsamente provvista di informazioni … il caso avrebbe governato il viaggio, un sovrano dispotico, imprevedibile, che è difficile capire, complicato ingannare, impossibile dominare”.
Ma ecco che dalle pagine toccanti del libro, sgorga quel canto che fa dell’autrice una poetessa generosa che pochi conoscono e che dona a piene mani:
“Quando stetti per l’ultima volta sulle mura (di Troia) a contemplar la luce insieme a Enea … Ho evitato di pensarci fino ad ora. E ora viene la luce. Enea, che non aveva mai esercitato pressioni su di me, che mi aveva sempre accettata per quello che ero, che non aveva mai voluto piegarmi o mutarmi in alcunché, insistette perché andassi con lui, giunse al punto di ordinarmelo. Era insensato gettarsi in una rovina che non si poteva più arrestare. Dovevo prendere i nostri figli – disse: i nostri figli! - e lasciare la città. Era già pronta a questo scopo una piccola schiera di troiani, e non dei peggiori, con le provviste e le armi necessarie e decisi ad aprirsi un varco. A fondare da qualche parte una nuova Troia. A ricominciare daccapo … Tu mi fraintendi, dissi esitando. Non è per Troia che devo rimanere. Troia non ha bisogno di me. Ma è per noi. Per te e per me”.
E cos’è questo se non un parlare d’amore, di quella poesia che all'amore suggerisce parole incancellabili, che sovrasta ogni cosa, ogni azione della nostra vita (?). Cassandra ... come Medea (altra eroina del mito per Christa Wolf), sono in primis donne che amano, carnali e umane, entrate di forza a far parte di quell’amore superiore che pur regna incontrastato e che ancora fa girare il mondo. Lo dimostrano i passi che seguono:
“Era chiaro a tutti i sopravvissuti, i nuovi padroni (gli Achei) avrebbero imposto la loro legge. La terra non era grande abbastanza per sottrarsi a loro. Tu, Enea, non avesti scelta: dovevi strappare alla morte qualche centinaia d’uomini. Eri il loro capo. Ma presto, molto presto saresti diventato un eroe. Sì! Hai esclamato. E allora? - Vidi nei tuoi occhi che mi avevi compresa. Non posso amare un eroe. Non voglio vivere la tua trasformazione in un monumento. Caro. Non hai detto che questo non ti succederà. O, che potrei evitartelo. Contro un’epoca che ha bisogno di eroi non c’è nulla da fare, lo sapevi bene quanto me. Hai gettato in mare l’anello a serpente. Dovevi andare lontano, molto lontano, e non sapevi che cosa sarebbe accaduto. Io resto. Il dolore ci ricorderà di noi. Grazie adesso, dopo, se ci rincontreremo, e qualora un dopo esista, potremo riconoscerci”.
Dunque la luce si spense … si spegne.
“Oh, l’umano destino, se felice, a un’ombra assomiglia; se sciagurato – passandogli sopra, l’umida spugna lo cancella! E più d’ogni altra cosa, questo spegnersi mi fa male”.
Il caso quindi, sostanza volatile, senza cui non nasce racconto che voglia sembrare naturale, eppure così difficile da catturare.
E allora: “Va’ Cassandra! Entra. Lascia questo carro, sottomettiti al giogo!”
Ancor prima che Cassandra apra la bocca per parlare, noi lettori già sappiamo che la guerra di Troia è finita. Agamennone, il re che ha guidato gli Achei per dieci lunghissimi anni fa ritorno a Micene, atteso da sua moglie Clitennestra e dai suoi vegliardi che erano restati. Egli arriva, accanto a lui siede sul carro di trionfo Cassandra, la troiana, figlia del re Priamo, che è morto, come sono morti tutti i suoi fratelli e la maggior parte delle sue sorelle. Troia è distrutta, e lei tutto questo l’aveva predetto, restando inascoltata … i suoi compatrioti non le hanno creduto: “ho immediatamente subodorato la maledizione che pende sulla casa degli Atridi” – dirà.
“Ora si permette di predire agli stranieri che l’attorniano che il loro re, appena invitato dalla moglie Clitennestra ad entrare nella rocca, calcando il tappeto di porpora steso al vincitore, e proprio da questa verrà assassinato … Cassandra non accoglie il pur nobile invito di lei a prendere parte al sacrificio che si prepara all’interno: "E sola, con questo racconto vado nella morte …”.
“Ma che vuole, essere immortale, Lei che è una donna?” – si domanda l’autrice. E ancora, di seguito: “Di cosa oscuramente si ricorda Eschilo quando crea donne come questa? Chi vorrebbe che Omero sparisse o addirittura riapparisse in veste di storiografo fedele alla realtà? Quanti anni aveva Cassandra quando morì? Trenta? Trentacinque? Conobbe la sensazione di essere sopravvissuta a molte, troppe cose?”.
Quante, troppe domande che chiedono una qualche risposta. Ed ècco che una ne arriva: “Era una cosa nuova per me domandarmi … non vogliamo assolutamente sapere il male che ci aspetta. Non solo i vincitori, anche le vittime sono salite sull’Acropoli. L’uomo e la bestia. Anche per gli dèi è così. Colui che viene prima, colei che viene prima, è sempre anche la vittima di chi viene dopo”.
“Ecco dove accadde. Questi leoni di pietra (sulla porta d’ingresso di Micene) l’hanno fissata. Al mutar della luce paiono animarsi …”. Tremila anni che non sono passati, che non possono essere passati invano.

Un particolare ringraziamento va a Elisa Ferri delle edizioni E/o, per la sua disponibilità di imprenditrice e ispiratrice di questa trasmissione radiofonica; ad Anita Raja che ha saputo mettere nelle parole un così alto senso musicale e, ovviamente a Christa Wolf (a ricordo del suo forte impegno sociale) e per averci lasciato sì memorabili opere: “Cassandra” e “Premesse a Cassandra” edizioni E/o.

Opere tradotte in italiano.
• 1960 - Pini e sabbia dal Branderburgo
• 1968 - Riflessioni su Christa T.
• 1974 - Sotto i tigli
• 1975 - Il cielo diviso
• 1976 - Trama d'infanzia
• 1979 - Nessun luogo. Da nessuna parte
• 1983 - Cassandra
• 1983 - Premesse a Cassandra
• 1987 - Guasto
• 1989 - Recita estiva
• 1992 - Nel cuore dell'Europa
• 1994 - Congedo dai fantasmi
• 1996 - Medea. Voci
• 1999 - L'altra Medea
• 2002 - In carne e ossa
• 2003 - Un giorno all'anno. 1960-2000
• 2005 - Con uno sguardo diverso
• 2009 - "Che cosa resta"

Soprattutto dopo la riunificazione tedesca le opere di Christa Wolf hanno dato luogo a molte controversie. La critica della Germania occidentale rinfaccia alla scrittrice di non aver mai criticato l'autoritarismo del regime comunista della Germania orientale (così, per es., Frank Schirrmacher). Altri hanno parlato di opere intrise di "moralismo". I suoi difensori hanno invece riconosciuto il ruolo svolto dalla scrittrice nel far emergere una voce letteraria della Germania orientale.[3] Con la sua monografia sui primi romanzi di Christa Wolf, e con successivi saggi su quelli più tardi, Fausto Cercignani ha contribuito a promuovere la consapevolezza della vera essenza della produzione narrativa della scrittrice, a prescindere dalle sue vicende politiche e personali. L’enfasi posta da Cercignani sull’eroismo delle protagoniste create da Christa Wolf ha favorito la nascita di altri studi sugli aspetti puramente letterari di questi romanzi.

Hanno scritto di lei:
A. Chiarloni, Christa Wolf. Le forme della dissidenza contenuto in Le dissenzienti. Narrazioni e soggetti letterari, a cura di C. Bracchi, Lecce, 2007, pp.103-120.

«Addio a Christa Wolf, scrittrice del dissenso». Corriere della Sera, 1 dicembre 2011. URL consultato in data 1 dicembre 2011.

Dal web - ilsussidiario.net sez. cultura. Int. Franz Haas - venerdì 2 dicembre 2011
Si è spenta ieri a Berlino la scrittrice tedesca Christa Wolf. Una vita trascorsa sotto i regimi totalitari: prima il giogo nazionalsocialista della Germania di Hitler, e poi il comunismo della Repubblica democratica tedesca, che Wolf abbracciò con convinzione in gioventù, salvo poi prenderne le distanze nella seconda metà della vita, senza però mai «abbattere» quel Muro che i seguaci di Marx e Lenin misero in piedi per proteggere la loro costruzione politica dalle cattive sirene del mondo libero. Christa Wolf nacque nell’attuale Polonia nel 1929 - allora parte della Germania -, venne inquadrata nella gioventù nazista, a vent’anni scelse il blocco sovietico e si iscrisse al Partito socialista unificato di Germania. Germanista, critica letteraria, la sua prima opera letteraria di fama internazionale fu Il cielo diviso, uscita in Germania nel 1963, a due anni dalla costruzione di quel Muro di cui Christa Wolf prese le difese. Successivamente la sua ortodossia cominciò a incrinarsi. Criticò il regime, senza però mai abbandonare il socialismo. Dopo quello scorcio di novembre del 1989, che sancì la fine del blocco orientale e cambiò la storia europea, denunciò da posizioni socialiste la crisi dell’occidente. La notizia della morte è stata diffusa ieri da Der Spiegel.
«Faccio una cauta difesa di Christa Wolf» dice a IlSussidiario.net Franz Haas, germanista, docente nell’Università statale di Milano. «Sicuramente andrebbe assolta dall’accusa di esser considerata una scrittrice di regime. Si potrebbe dedurre da alcune opere, è vero, ma la sua produzione nell’insieme non lo giustifica. Resta in ogni caso la scrittrice più rappresentativa della Germania comunista».

Come cambia la personalità di Christa Wolf nell’arco di tempo che va dalla sua prima produzione letteraria al crollo del Muro?
Mentre nel primo periodo della sua attività, che comincia nei tardi anni cinquanta con Moskauer Novelle, Wolf è ancora completamente schierata dalla parte del regime comunista e in linea con il partito, successivamente ne prende le distanze, ma rimanendo all’interno dell’orizzonte ideologico della Ddr. Wolf divenne critica nei confronti del regime fino alla soglia del punto di rottura, ma senza spingersi oltre: se avesse fatto un «passo» in più, sarebbe stata cacciata o messa in prigione, come è stato per tanti altri.
In che modo il rapporto con il potere ha influenzato le sue opere?
Si tratta di un condizionamento presente e innegabile, ma che si evolve nel tempo. Lei stessa rinnegherà molti scritti del periodo giovanile, rimproverandosi di essere stata troppo credente in quella «chiesa» che era il comunismo.
Una delle sue opere più note è Il cielo diviso, tradotto in italiano nel 1975.
Sì, è forse l’opera più nota. È una storia d’amore in cui la protagonista, fedele al regime, vuole rimanere a Berlino est, mentre lui va all’ovest e per questo impersona la figura negativa, colui che tradisce la patria. Non è molto noto che questo libro è la risposta al romanzo di un altro scrittore tedesco orientale dell’epoca, Uwe Johnson, che nel 1959 pubblica Congetture su Jakob, in cui la situazione è invertita: c’è una coppia di amanti in cui la ragazza va in occidente e il giovane, invece, rimane. Johnson, non potendo pubblicare il romanzo in Germania est, lo fece uscire in Germania ovest ma questo gli costò l’abbandono della patria. Wolf replicò a Johnson con una cauta difesa del regime comunista.
Il 1989 cambiò qualcosa nella posizione di Wolf?
Rimase traumatizzata dagli attacchi che le vennero rivolti nel 1993, quando si seppe che era stata una collaboratrice informale della polizia segreta. Scrisse anche un libro di saggi in cui si difendeva, e tutte le sue opere da allora sono state la trasfigurazione letteraria di problemi politici tipici delle dittature. Criticò il totalitarismo, ma nel paradosso di un’autodifesa della sua appartenenza ideologica. Certamente non è rimasta la comunista «credente» che era all’inizio degli anni sessanta.
Che dire delle sue opere dal punto di vista letterario?
Molte opere valgono ancora. Il cielo diviso non è una grande opera letteraria, ma è un ottimo «documento» in grado di far rivivere al lettore l’atmosfera di quel periodo, in Germania e nel blocco comunista. Sono di rango superiore le successive Cassandra e Medea.

Perché il ricorso a queste figure mitologiche?
Per poter parlare apertamente di cose di cui non avrebbe potuto parlare. Allora c’erano due grandi movimenti, quello pacifista e quello femminista. Siamo nei primi anni ottanta, al culmine della guerra fredda tra est e ovest, Cassandra li ammonisce entrambi e dice cose che senza travestimento mitologico non avrebbe potuto dire. All’epoca di Cassandra, nel 1983, la Wolf aveva già preso le distanze dal regime.
Se Il cielo diviso non è un’opera d’arte, allora quali sono i lavori di Christa Wolf che vale senz’altro la pena di leggere?
Molto più validi del Cielo diviso sono Trama d’infanzia, del 1976, e il precedente Riflessioni su Christa T., del 1968, due opere più o meno autobiografiche nelle quali la Wolf riflette sulla sua infanzia sotto il nazionalsocialismo e sulla sua gioventù sotto il comunismo. Queste sono opere d’arte certamente avanzate, oltre a Cassandra e a Medea.
Il suo consiglio al lettore italiano?
Se è disposto ad affrontare una scrittura particolarmente ostica, suggerisco le Riflessioni su Christa T. Dico ostica perché siamo nel 1968, in un periodo in cui la letteratura tedesca molto gioca sullo sperimentalismo, utilizza una prosa riflessiva, contorta, difficile, con continui salti avanti e indietro nel tempo. Più abbordabile, invece, Cassandra.
Trad. Federico Ferraù.


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