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Poesia di visione e sentimento sulle cose della vita

Argomento: Letteratura

Articolo di Maria Pia de Martino 

Proposta di Roberto Maggiani »

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Pubblicato il 11/04/2014 00:15:24

 

[ Intervento di Maria Pia de Martino alla presentazione de La bellezza non si somma a Napoli, 31/03/2014 ]

 

Ci sono urgenze, ci sono decadenze che devono essere segnalate, ci sono ferite in ognuno di noi, in ogni uomo, anoressie e depressioni e lutti. Ma ci sono gli istanti di piacere dove le viscere delirano: nulla di erotico, naturalmente o apparentemente; in realtà è un gesto che può illuminare una giornata o forse una vita (Ritratto pag. 20). La poesia non esprime così in Roberto Maggiani una personalità, la poesia di Roberto Maggiani ha una personalità: forse egli è nel bel mezzo di un percorso storico oppure nel bel mezzo di un nulla astorico. Ma i poeti sono i “non riconosciuti legislatori del mondo” – secondo Shelley – e l’Islandese di Leopardi chiede: “A chi piace o a chi giova questa vita ridottissima – o totale – della Poesia, conservata con danno e con morte di tutte le cose che la compongono?”. Le nozioni metriche come le nozioni filosofiche, si possono apprendere – dico io – più o meno, ma il rapporto del corpo fisico con il testo, del testo con la biologia o la biografia no. Il potere delle parole – immenso – come il ruolo della voce, queste non sono cose astratte, per paradosso, e sono lo slancio di un essere vivo. Roberto Maggiani con “La bellezza non si somma” compie questo experiri: la poesia qui è un’aggiunta al soggetto poetante, esposto al suo stesso testo che lo rende pubblico, mentre egli si esprime stando dentro il mondo e oltre, sopra di esso immediatamente, là dove dimora la consapevolezza della precarietà immanente all’uomo. Dunque il poeta deve essere una di tre cose: o Dio, o “disumanista” da laboratorio (permettetemi di ricordare il principe di San Severo che fu conscio del senso e del fine della distruzione), o, infine, pronto a rispondere a un appello più alto, collocandosi in quella terra scomoda e perigliosa dove si nomina il silenzio nel silenzio e dove esso – il silenzio – appena chiamato, muore (Poesia pag. 13). Roberto Maggiani sceglie tra il silenzio e la scrittura che lo sostituirà: fortunatamente ha scelto la scrittura poetica. Credo che la Poesia, nella sua massima espressione (penso a Dante, a Shakespeare, a Donne, a Milton o a Blake) sia un modo di espandere la coscienza attraverso quella che ho imparato a definire “stranezza” – concetto che ho ereditato da Peter Russell che a sua volta lo aveva ereditato da Owen Barfield e Walter Pater prima di lui – che associa la stranezza alla bellezza. Una stranezza di significato, cioè, che non è la semplice meraviglia che segue il non comprendere, ma è quella condizione mentale che presuppone un contatto con una coscienza diversa dalla propria, semmai dilatata, ma raggiungibile e condivisibile. La “stranezza” suscita cioè meraviglia quando non comprendiamo e immaginazione estetica quando comprendiamo. “La bellezza non si somma” è un’opera che nasce dunque dalla centralità della coscienza che è termine fondamentale qui come “stranezza”: il Maggiani si colloca così in un non-luogo di osservazione, scomodo senza dubbio per la precarietà dell’equilibrio di sguardo di cui dicevo, ma agevolato apparentemente dalla sua formazione culturale di “fisico dello spazio”. La poesia diventa per lui ciò che è il marmo per lo scultore: materia prima da lavorare, da e attraverso cui osservare Dio o se stesso in rapporto a Dio, al dio. Le parole ora diventano rappresentazioni, visioni o teorie (dal greco Teos e Orao), come metafore della coscienza del poeta che ci invitano a partecipare questa “stranezza”. Si è più veri e più strani quando si diventa liberi artefici di se stessi – mi sovviene Hegel – : la missione della vera poesia è quella di aiutarci nell’esercizio dell’ampliamento della coscienza, il più autentico e sofferto modo di avvicinarsi a Dio, attraverso una specie di edificazione dell’anima (Poesia pag. 30). Roberto Maggiani sa creare un’occasione poetica dall’ispirazione che trae dalla sua cultura di formazione, che qui non è percorso di sola volontà, ma di abbandono alle intuizioni (Caduta pag. 49). Egli invita così il lettore ad aderire al testo secondo un grado di partecipazione spontanea, per una poesia a cui però non basta l’emozione pura: è poesia verso cui bisogna nutrire passione profonda, in una realtà disincantata a tratti, ma dove l’incanto tende sempre a riprodursi. E la poesia di Maggiani conserva un rapporto costante con l’incanto, resistendo alle strutture profonde dell’Io; ma incanto e canto sono in fondo la stessa cosa: in questo senso “La bellezza non si somma” è poiesis, cioè autorizzazione della propria vita, visione trascendente e infinita di attimi finiti del proprio essere ed esserci, che viene dalla mente inconscia e direi – come medico – dal sistema endocrino-ormonale di un uomo, da quel singolare livello archetipico della mente dove alberga l’anima mundi, dove vedere è sentire e viceversa (L’universo che ci conviene pag. 52). Una poiesis vera poiché corrisponde a un’esperienza concreta e agli oggetti integrali (mi sovviene Wislawa Szymborska e Charles Simic): il poeta è colui che vede le cose con il proprio ordine reale e, casomai, solo dopo lo scienziato potrà fare il suo lavoro scientifico di astrazione o tassonomico (Poesia pag. 48). Maggiani compie tutto ciò contemporaneamente attraverso un atteggiamento analiticamente poetico e sempre spontaneo. Sarà l’amico Enzo Rega che parlerà più diffusamente delle poesie del Maggiani, dopo questi miei cenni introduttivi alla sua poetica. Concludendo, perciò, “La bellezza non si somma” è poesia di visione e sentimento sulle cose della vita, su tutto e sulle parti del tutto, sulla morte e sulla nostalgia di Dio, sull’attesa di Dio, in una vigilia che muove una parola elegante ed essenziale (ultime tre righe di “Dio” pag. 61). Poesia che si affaccia verticale sulla sintesi tra linguaggio e realtà in un riuscito gioco comunicativo tra il poeta e il lettore coinvolti nell’irresistibile volgere del cuore e dell’intelletto in visioni soggettive e universali, talora provocatorie (Stupore di un morto… pag. 59). Poesia delle cose e dell’universo che sale senza tempo ai profondi blu del cielo e degli oceani – qui l’Oceano Atlantico portoghese –, che racchiudono simbolicamente la nostalgia dei segni di Dio per gli uomini, trattenendone oltre il tempo finito la bellezza che non si somma nelle sue parti, ma che culmina in quella parola poetica che ne traduce irrimediabilmente la Verità.

 


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