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Il regalo

di Ezio Sinigaglia 

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 29/06/2023 15:41:31

 

Il 5 luglio 2023, per la collana di narrativa italiana “Orso bruno”, uscirà L’amore al fiume (e altri amori corti) di Ezio Sinigaglia, Wojtek edizioni, segnalato quest’anno al Premio Strega da Lorenza Foschini con il suo Sillabario all’incontrarioTerraRossa, 2023.

 

L’amore al fiume (e altri amori corti) è una raccolta di sei racconti uniti da un luminoso lavoro di richiami interni e ambientati in un campo militare estivo dai caratteri bucolici. Tra i boschi, il fiume e un piccolo paesello si muovono i giovani bersaglieri protagonisti di queste storie, tanto addolciti dalla sensualità dell’aria di giugno, quanto attratti dal mistero del paesaggio che li circonda e risveglia i loro desideri.

In questi racconti tutti corpo e natura, stupisce ancora una volta la penna di Sinigaglia per la sua raffinatezza e la sua scrittura audace, acuta e divertentissima, che si dispiega sulla pagina con grazia restituendo al lettore un’inconfondibile sensazione di libertà.

 

Proponiamo qui di seguito un’anteprima tratta dal racconto Il regalo:

 

 

Attraverso la grande massa discontinua e frusciante dei lecci i raggi del sole penetrano sempre più obliqui, popolando il bosco di bersaglieri Iannopulo modellati in un’instabile polvere d’oro che sembra moltiplicarne, in uno sfavillio insieme accecante e oscuro di sguardi, la morbosa inquietudine. Sulla tenera pelle dell’angelico Guido scorrono brividi di paura, d’impazienza e di freddo.

«Barigozzi, è meglio che andiamo».

Molto rinfrancato nelle sue mastodontiche pene d’amore dalle pene d’amore trasparenti e lievissime del bersagliere Bernasconi, il sedicente infermiere Maciste sta facendo ruotare allegramente il suo fez, come una trottola, intorno alla falangetta del grosso indice della mano destra puntato al cielo.

«Ah sì?», risponde senza voltarsi, ma continuando a fissare con lo sguardo ebete il suo giocattolo girevole, «Andiamo dove?».

«Ma come dove, Barigozzi? Torniamo in piazza: sono quasi le sei meno dieci!».

«Oeh là!».

«Eh sì: il tempo vola».

Nel preciso istante in cui la vocina scoppiettante dell’angelico Guido declina all’indicativo presente il verbo che meglio si adatta a descrivere i moti dei celesti suoi simili, il fez rotante del bersagliere Barigozzi, vittima delle spietate leggi della fisica, è proiettato dalla forza centrifuga lungo una linea tangente potenzialmente infinita, ma che viene interrotta dopo circa otto metri di volo dalla frapposizione del ramo di un leccio, al quale resta appeso con la sua parte interna, facendo dondolare per svariati secondi il fiocco di un azzurro smagliante prima di assestarsi in una posizione stabile e ordinata, proprio come se, anziché di un ramo di leccio, si trattasse del pomolo di legno di un attaccapanni a piantana.

«Oh casso!», esclama Maciste, oltremodo perplesso, sollevando gli occhi vacui verso quel capo insostituibile, seppur tormentoso, della sua uniforme di bersagliere in missione.

«Oh cazzo!», rincara la dose il bersagliere Bernasconi, quasi attingendo inconsapevolmente a un simbolismo comune, «E adesso?».

«Adesso cosa?».

«Come cazzo facciamo a riprenderlo?».

«Oeh be’! cosa sarà mai? Guarda qui!», il bersagliere Barigozzi si alza dalla roccia calcarea su cui stava seduto, ergendosi in tutta la sua mole imponente, «Te lo qui: ce l’ho all’altessa degli occhi!».

«Sì, ma».

«Macché ma. Sì, mica ma».

«Sì, Barigozzi: ma il sentiero è in discesa».

«E allora? cosa me ne frega a me, se è in discesa?».

«Te ne frega, eccome».

«Ma dove?».

«Barigozzi, il fez ce l’avrai anche all’altezza degli occhi».

«Te lo qui: conto mica delle balle».

«Okay: solo che l’albero comincia tre metri più in basso, capisci?».

«Cosa vuol dire che comincia? L’importante è dove finisce, mica dove comincia».

«Va bene, Barigozzi. Andiamo a vedere, d’accordo?».

Di fronte a queste misteriose allusioni all’altezza relativa degli occhi e degli alberi, che sembrano presupporre nozioni di botanica a lui ignote, l’onesto Maciste fa piovere dall’alto sull’angelico Guido uno sguardo che, pur nella sua perdurante vacuità, si mostra minacciosamente oscurato nell’ombra proiettata sulle iridi opache dalle arcate sopracciliari aggrottate.

«Di’, Bernasconi: te l’ha mica mai detto nessuno?».

«Che cosa?».

«Che certe volte mi fai girare le balle!».

«E perché, scusa?».

«Per tutte quelle arie che ti dai, lì così, da sampietrone!».

«Sampietrone?!».

«Sì, mica no! Proprio così: sampietrone. L’è la parola giusta!».

«Boh».

«Boh un corno! Sì, mica boh!».

«Sam-pie-tro-ne?».

«Eccola! Lo vedi? Propio quello che son dietro a dire! Un sampietrone sputato! Eccola lì!».

«Sampietrone?».

«Perché? non ci credi?».

«Ma, scusa sai, Barigozzi: che cosa sarebbe un sampietrone?».

«Ah, adesso!».

«Non l’ho mai sentito, lo giuro».

«Adesso te, Bernasconi, mi vieni a dire che non sai che cos’è che vuol dire un sampietrone! Ma contala a un altro, va là».

«Spiegamelo!».

«È mica possibile che non lo sai!».

«Se ti dico che non lo so, cazzo! Non l’ho mai sentito».

«Altrimenti, se non lo sapresti, non eri un sampietrone. L’è talmente logico!».

«E dov’è la logica?».

«La logica è tutta lì: che se uno è un sampietrone come che sei te, Gesucristo, allora quello lì sa tutto, e quindi che deve anche sapere per forsa che cos’è che l’è un sampietrone! O no?».

«Cioè, scusa? un sampietrone sarebbe uno che…».

«Propio come te, casso!».

«Che sa tutto?».

«O almeno: che si dà le arie che sa tutto! Come te, preciso!».

«Ma Barigozzi!».

«No! Bernasconi, mica Barigossi!».

«Ma non si dice sampietrone!».

«Te lo lì! Adesso me lo spiega lui com’è che si dice!».

«Sa-pien-to-ne! Sapientone, non sampietrone!».

«Oh bella!».

«Eh già».

«Ma sei sicuro?».

«Be’, direi!».

«E allora, cosa cambia?».

«Vuoi saperlo, che cosa cambia?».

«Sì, dimmelo. Cosa cambia?».

«Il fez, Barigozzi».

«Il fess?».

«Sì, il fez. È la volta che lo cambi».

«Ma va là!».

«Okay: andiamo a vedere».

 

 

 


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