Le hanno donato tre caramelle e ne ha mangiate due; che gentili. Erano squisite? Non saprei. Sicuramente! Le hanno donato tre caramelle e ne ha mangiate due; che gentili. Le bambine adorano lo zucchero: sapor di fragola? Sapor di morte? Overdose da glucosio ed invece dell’ipereccitazione, il coma. Una donnina in bianco mi ha avvicinato ed in mano mi ha piazzato il terzo dolciume. Pareva dispiaciuta: che fosse lei la dispensa di leccornie? Forse Prudence non le ha gradite? Prudence dorme d’un sonno senza sogni, ma ricco d’incubi in vetrina.
Piccola mia, non possono raggiungerti, ma fanno paura e lo capisco. C’è il vetro, lo vedi? Il vetro trasparente. Quando i tuoi occhi argentati torneranno lucidi e vigili, dovrò proprio domandarti chi ha tentato la tua golosità. E dovrò arrabbiarmi tanto, sai? Dovrò arrabbiarmi, ma non con te. Ti comprendo, ti ho compresa: la caramella superstite era invitante anche per me e l’ho ingollata. Non ti ho salvata, né avrò bisogno di salvare me: non ho fatto in tempo a scuoterti e tenerti sveglia e nessuno lo farà con me. L’unica tua fortuna è il temporaneo decesso forzato, quello che non stenderà me.
Bristol ha corso oltre il tramonto e i fasci lucenti dei lampioni sono dissolute monache epilettiche a cui tocca la condanna. L’asfalto scotta, l’asfalto è ghiacciato: batto i denti dal caldo e il sudore trema sulle tempie. Ecco! Ecco la casa che mio zio non cura! Lo spettro della mamma sta sfornando i biscotti. Non mi sono mai piaciuti, ma mai gliel’ho confessato. Qui vivevamo noi, ma non ero più alto del muro di cinta. Georgina Simmons mi ci sbatteva di continuo contro quel muro e se tornavo con i graffi, il calcio era sempre la scusa. Georgina... probabilmente è spirata fra le fiamme dei suoi capelli o fra quest’erba alta e gialla. La cercherò poi. Non premo interruttori, scricchiolo sulle rampe di vecchie scale rivestite e macchiate. Su, su, su fino alla soffitta. Ricordo più quella della mia camera. Con un tonfo apro la porta a cui manca un perno e, mentre lei pende come un impiccato dal respiro non più fresco, io avanzo e mi piazzo al centro del cumulo di polvere. C’è tutto quel che c’era prima, ma ogni oggetto è invecchiato e s’è opacizzato. Un ospizio. -Sono tornato!- Un tono lugubre senza effetto sorpresa, delinea la mia presenza al nulla e allora i palmi sbattono sulle tasche sconsolati. -Sono tornato.- Ripeto in un sibilo non udibile alle punte delle mie Derby nerissime. Raggiungo un angolo e lì mi lascio cadere seduto. Una cassapanca contenente cadaveri di persone mai conosciute in fanciullezza, ghigna intanto che la apro e allora strizzo una palpebra. Prendo la mira a caso, intinto nella realtà di quei fatti sui quali mai mi sono soffermato. Quanto ho perso della routine che persino quel tossico bastardo di Renton s’è goduto a quattordici anni? Ah, un Rollingstone: c’è Cobain in copertina, ma gli manca la bocca, tutta depennata da scarabocchi. Un altro puzzle incompleto: uno dei tanti miti. Una delle mille statue senza arti. E’così che diventiamo folla solitaria. E c’è ancora del Whisky non evaporato e c’è ancora la sete d’un intero continente tutta qui, nell’Africa del mio organismo. Svito, butto giù e rido. -Cazzo, fai schifo!- Poi torno serio. Il viso si scava, le sopracciglia sono ombra peciosa, più del legno bruciato nella famosa stanzetta, le labbra si increspano, le narici dilatate e le pupille altrettanto. Quasi mi spiace di non poter diventare una vergine suicida. Dico davvero, ne ho sfondate troppe e non va. Lo scenario è cambiato così spesso che, talvolta, ho dovuto raccogliere da terra il mio nome. In corsa. “Villetta a schiera, mh? E’solo un’attrazione del luna park. Ci sono i fantasmi, vieni! Oppure non venire.”
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Roberto Perrino
- 25/06/2012 10:01:00
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Una narrazione straniata, a posteriori, con caramelle dagli sconosciuti, incontri retrospettivi, interpolazioni sopravvissute ad un incendio, locchieggiare del giovane maledetto Cobain da una rivista miracolosamente non bruciata, quasi a garantire unapparizione mistica in uno scenario da casa gotica. Queste le sensazioni che via via si sono avvicendate nella lettura di questo interessante testo, scritto con stile che cattura. Complimenti Giulia (anche perche giovanissima, come mi pare di capire da altri commenti).
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Roberto Maggiani
- 24/06/2012 22:47:00
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Cara Giulia, confermi qui, a mio avviso, la tua vivida intelligenza, bellezza e sensibilità umana e artistica. Un abbraccio.
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Luciana Riommi Baldaccini
- 24/06/2012 18:40:00
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Ho letto questo breve, ma densissimo racconto, con grande interesse, attirata dal titolo (smascherato: chi o cosa?) e già catturata dalle prime amarissime righe: "sapor di fragola? sapor di morte?" Trovo la tua scrittura di unefficacia straordinaria, capace di toccare nel profondo, da cui evidentemente attingi, come dici nella tua breve autopresentazione; "Quando scrivo lo faccio perché qualcosa mi sale da dentro..." "Prudence dorme dun sonno senza sogni, ma ricco dincubi in vetrina": la vetrina attraverso la quale assistiamo al dramma di un "temporaneo decesso forzato". Ma è temporaneo, vivaddio! Come per ognuno di noi, il dolore più grande, il nostro personale "viaggio notturno per mare" potrà avere sbocco alla luce del giorno se abbiamo la volontà di dargli forma e rappresentazione, quindi coscienza, come avviene anche attraverso la mediazione della scrittura, e come mi sembra che tu faccia egregiamente: "... ne sento il bisogno e mi piace farlo". È proprio così che gli incubi possono tornare a essere sogni, con tutto quello che contengono di immaginazione, speranza, novità, progettualità, significato. Dopo le delusioni e la caduta dei miti "cè ancora la sete dun intero continente tutta qui, nellAfrica del mio organismo": la nostra sete (ma non di whisky, che stordisce), la sete inesauribile dellAfrica, non può essere che dacqua: la vita. Sono immagini davvero belle, le tue, anche quando comunicano langoscia e la fatica del vivere, perfino la necessità a volte di "raccogliere da terra" il proprio nome: raccogliere se stessi, in quel nome che sancisce la nostra unicità e la nostra identità, talora non riconosciuta e non debitamente rispettata, eppure per me "sacra". Ovviamente la mia lettura è personale, condizionata dalla mia sensibilità, dunque anche parziale: è possibile che io abbia mancato altri spunti e altri significati presenti nel tuo racconto, che come dicevo allinizio sento molto ricco e denso. Daltra parte non credo che un testo creativo possa essere semplicemente "ritradotto" in un significato razionale univoco senza tradirlo: la sua ricchezza sta proprio nella capacità di "arrivare" al cuore di chi lo legge e di attivare risposte emozionali personali. Complimenti sinceri anche per la tua capacità di rappresentare ciò che non tutti hanno il coraggio di guardare. Al piacere di leggerti ancora
Luciana
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Giulia Tubili
- 24/06/2012 17:40:00
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E/siamo Jude, "Hey Jude". I suoi occhi sono di ferro ed è una persona assai pacata: un self control raccapricciante caratterizza la placidità con cui fronteggia una vana speranza di diventare qualcuno nel mondo del teatro. Lunica nota dolente che sul suo pentagramma stride e lo ferisce si chiama Prudence, la sorellina diversa che, forse mai, uscirà dalla sua bolla daria nel disinfettante. Scrivo per conto di un ragazzo cornovagliese, che ormai da tempo mi vive al fianco seppure io sia giovanissima. A proposito della sirena, già sgranocchiata dai miei diciannove anni, lo saluto dallo scoglio di fronte allennesima casa dismessa in cui ogni tanto si tumula: il mare di Brighton non è certo zaffiro, ma ho sempre preferito gli opali. Grazie infinite.
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Domenico Morana
- 24/06/2012 17:13:00
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“Non premo interruttori, scricchiolo sulle rampe di vecchie scale rivestite e macchiate.”
Chi è che scricchiola salendo vecchie scale silenziose? Sa già della maschera di ferro che è la morsa di uno sguardo? Uscirà mai Prudence dalla lunga autoprigionia indotta da uno stato di meditazione trascendentale o forse sarà meglio mandare indietro il quartetto di Liverpool a Rishikesh, a bussare alla porta della sua Doll’s House? Ma adesso stanno registrando il White Album! Questi e altri gli interrogativi … “ma nessuno qui deve considerarsi sospettato” come dissi quando indagavo sul caso di Paranoid Park.
Basta, mi fermo, respiro e con uno sforzo rimando a fondo immagini venute a galla come gavitelli a cui aggrapparsi per non annegare nel tuo testo, Giulia. Preferisco annegarci. No! Voglio imparare a nuotare come fai tu per seguirti ancora in un’altra visione sottomarina … Sei forse una Sirena?
Che dire a chi sta ancora sulla riva, titubante, scrutando preoccupato il blu cupo di un’acqua profondissima? Tuffatevi anche voi, che aspettate? Seguiamola! Senza alcun timore! L’ho vista è ancora là, è una Sirena, credetemi! E scrive magnificamente. Lasciate che i vostri polmoncini s’abituino a certe pressioni abissali e vedrete il regno meraviglioso di una scrittrice di razza, di chi farà scricchiolare le scale della fama sotto il peso di un’anima dolce e dolentissima.
Complimenti, Giulia, è un testo così denso questo tuo Démasqué. Leggo che sei giovanissima. Ma che personalità e consumata padronanza di ritmo e di atmosfera! Ti piacciono i Beatles? Quella canzone: Dear Prudence? E i film di Gus Van Sant?
Ciao, spero di leggerti ancora e ancora :)))
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Loredana Savelli
- 24/06/2012 13:25:00
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Pur nella mia discreta ignoranza, intuisco di trovarmi davanti a un testo assai interessante nel linguaggio e nella struttura. Sembra la descrizione di unesperienza traumatica, le tre parti dialogano tra di loro, ma ciascuna è un punto di vista diverso. Il terzo brano è il più inquietante. Trovo che sia una scrittura poetica, modernista, e che lautrice sia dotata di un ottimo senso della regia, mi è parso di vedere tre sequenze di un film che mi ha lasciato una forte suspance, un misto tra curiosità e desolazione.
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Fiammetta Lucattini
- 24/06/2012 11:32:00
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Un quadro di Salvador Dalì ridipinto con fragili mani(?)
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