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Démasqué

di Giulia Tubili
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Pubblicato il 23/06/2012 20:32:21

Le hanno donato tre caramelle e ne ha mangiate due; che gentili.
Erano squisite? Non saprei. Sicuramente!
Le hanno donato tre caramelle e ne ha mangiate due; che gentili.
Le bambine adorano lo zucchero: sapor di fragola? Sapor di morte? Overdose da glucosio ed invece dell’ipereccitazione, il coma.
Una donnina in bianco mi ha avvicinato ed in mano mi ha piazzato il terzo dolciume. Pareva dispiaciuta: che fosse lei la dispensa di leccornie? Forse Prudence non le ha gradite? Prudence dorme d’un sonno senza sogni, ma ricco d’incubi in vetrina.

Piccola mia, non possono raggiungerti, ma fanno paura e lo capisco. C’è il vetro, lo vedi? Il vetro trasparente.
Quando i tuoi occhi argentati torneranno lucidi e vigili, dovrò proprio domandarti chi ha tentato la tua golosità. E dovrò arrabbiarmi tanto, sai? Dovrò arrabbiarmi, ma non con te. Ti comprendo, ti ho compresa: la caramella superstite era invitante anche per me e l’ho ingollata. Non ti ho salvata, né avrò bisogno di salvare me: non ho fatto in tempo a scuoterti e tenerti sveglia e nessuno lo farà con me. L’unica tua fortuna è il temporaneo decesso forzato, quello che non stenderà me.

Bristol ha corso oltre il tramonto e i fasci lucenti dei lampioni sono dissolute monache epilettiche a cui tocca la condanna.
L’asfalto scotta, l’asfalto è ghiacciato: batto i denti dal caldo e il sudore trema sulle tempie.
Ecco! Ecco la casa che mio zio non cura! Lo spettro della mamma sta sfornando i biscotti. Non mi sono mai piaciuti, ma mai gliel’ho confessato.
Qui vivevamo noi, ma non ero più alto del muro di cinta. Georgina Simmons mi ci sbatteva di continuo contro quel muro e se tornavo con i graffi, il calcio era sempre la scusa. Georgina... probabilmente è spirata fra le fiamme dei suoi capelli o fra quest’erba alta e gialla. La cercherò poi.
Non premo interruttori, scricchiolo sulle rampe di vecchie scale rivestite e macchiate. Su, su, su fino alla soffitta. Ricordo più quella della mia camera.
Con un tonfo apro la porta a cui manca un perno e, mentre lei pende come un impiccato dal respiro non più fresco, io avanzo e mi piazzo al centro del cumulo di polvere. C’è tutto quel che c’era prima, ma ogni oggetto è invecchiato e s’è opacizzato. Un ospizio.
-Sono tornato!-
Un tono lugubre senza effetto sorpresa, delinea la mia presenza al nulla e allora i palmi sbattono sulle tasche sconsolati.
-Sono tornato.-
Ripeto in un sibilo non udibile alle punte delle mie Derby nerissime.
Raggiungo un angolo e lì mi lascio cadere seduto. Una cassapanca contenente cadaveri di persone mai conosciute in fanciullezza, ghigna intanto che la apro e allora strizzo una palpebra. Prendo la mira a caso, intinto nella realtà di quei fatti sui quali mai mi sono soffermato. Quanto ho perso della routine che persino quel tossico bastardo di Renton s’è goduto a quattordici anni? Ah, un Rollingstone: c’è Cobain in copertina, ma gli manca la bocca, tutta depennata da scarabocchi. Un altro puzzle incompleto: uno dei tanti miti. Una delle mille statue senza arti. E’così che diventiamo folla solitaria.
E c’è ancora del Whisky non evaporato e c’è ancora la sete d’un intero continente tutta qui, nell’Africa del mio organismo. Svito, butto giù e rido.
-Cazzo, fai schifo!-
Poi torno serio. Il viso si scava, le sopracciglia sono ombra peciosa, più del legno bruciato nella famosa stanzetta, le labbra si increspano, le narici dilatate e le pupille altrettanto.
Quasi mi spiace di non poter diventare una vergine suicida. Dico davvero, ne ho sfondate troppe e non va.
Lo scenario è cambiato così spesso che, talvolta, ho dovuto raccogliere da terra il mio nome. In corsa.
“Villetta a schiera, mh? E’solo un’attrazione del luna park. Ci sono i fantasmi, vieni! Oppure non venire.”

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