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Se la rivoluzione verde sbarca in Africa

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Bill Gates e Rockefeller Foundation si propongono di incrementare la produzione agricola del continente africano, «salvando 30-40 milioni di persone dall’emergenza alimentare e 15-20 milioni dalla povertà», attraverso un’Alleanza per una Rivoluzione verde per l’Africa (Agra).

Secondo le due fondazioni americane, questa operazione dovrebbe ricalcare quella operata negli anni 1960-70 in Asia e America Latina. Vale a dire incrementare la produzione dei campi attraverso un’agricoltura di tipo intensivo, meccanizzata, concentrata su poche specie (cereali in primis) e ricorrendo a un uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici.
In effetti la produzione agricola è aumentata (non quanto si sperava), ma a quale costo?

In termini ambientali, l’uso massivo di additivi di sintesi ha contaminato il suolo e le falde acquifere. Le tecniche di coltivazione di stampo industriale hanno inoltre stressato la terra e sfruttato fino all’osso le risorse idriche.

Dal punto di vista sociale, si ha avuto la totale scomparsa dei piccoli produttori: una ricerca ha rilevato che solo chi possedeva almeno 6-8 ettari di terreno poteva competere con la nuova agricoltura high-tech. I contadini su piccola scala dovettero cessare le attività, strangolati dalla concorrenza, vendere i campi e ingrossare le file degli immigrati nelle città.

Inoltre, il concentrarsi nella coltivazione di poche specie (tra l’altro non autoctone) ha causato perdite enormi in termini di biodiversità e la scomparsa di specie tradizionali, frutto di saperi millenari, quindi anche danno culturale.

Se ci mettiamo poi le multinazionali dell’agricoltura che hanno brevettato le specie indigene, costringendo i contadini ad acquistare da queste aziende semi che da secoli avevano loro stessi scoperto e selezionato, in una parola biopirateria, il quadro è completo.

L’Africa dovrà subire la stessa sorte? E’ così difficile imparare dagli errori del passato?


Fonte:
AllAfrica.com


Luca Bernardini

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