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al testo di Giovanni Ivano Sapienza
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E che hai da sorridere,che ridi di me,
bell’amica,ti intravedo,sai,in questa distanza di sfere nella notte e ridi della mia insonnia o dubiti della mia tempra di esploratore che intento accosto l’orecchio a percepire più che musica un eco di linfe,prodigiose circolazioni, fra tegumenti il brulicare arcano d’ erbe che forano ostinate la risalita,in desìo di visione, fra zolle di terra accucciata, accartocciata sul proprio respiro e non ti turbi l’ansito tormentoso di quelle forre , se un morbo esala da quegli scialli di tenebra che pure squarciano, a inusitate cadenze,fasci improvvisi , di sideree perlustrazioni: ecco che aguzza l’occhio il ratto,l’animale dal palpito rapidissimo, e sprezzante si leva in volo un caprimulgo a sorvolare accigliati bastioni,ripostigli di ceralacca Un vento greve sale dal mare ad increspare i desideri,in sogno, dei mortali, ma un fruscìo leggero di vesti di angeli,di partenza, intravisti o presagiti dal vuoto traforo scenario di deserta postazione di capannoni,tralicci, forse ironico ,o pietoso,come il tuo sorriso, preannuncia il riposo del tuo notturno, oramai rattrappito rabdomante , vicino il dissolversi, a un cenno del Nume, discreto e leggero, di quelle nere cortine all’orizzonte. |
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