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al testo di Danilo Catalani
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- Ci vedi? - No, non vedo nulla. Giuro. - Non giurare. Nella nostra attività non c’è spazio per la menzogna, quindi neppure per i giuramenti. Sei pronto per cominciare? - Sì. - Mi raccomando, non spostare la benda. Questa è la prova decisiva. Lo comprendi? - Sì, chef, lo comprendo. - Cominciamo. Apri la bocca. Mastica lentamente e rifletti prima di rispondere; non c’è la possibilità di essere precipitosi, per noi la precisione è tutto. Cosa senti? - Carne bianca. - Bene, poi? - Pollo, a giudicare dalla consistenza. Ben cotto. La giusta dose di aceto. - Spezie? - Cumino, direi. E Paprika al posto del peperoncino. - Ottimo. Andiamo oltre, parlami dell’animale. Cosa vedi? - Vedo un’aia. Aria aperta, sole. Non è il pollo da batteria, è allevato a terra. Non c’è sapore di paura o di infelicità. È vissuto bene, è morto bene. - E quindi? - Falanghina Beneventano, direi. - Mhf. Ci sta. Potresti osare di più, ma va bene il Falanghina, meglio non strafare. Mai strafare. Devi essere sempre sicuro di non commettere errori. Lo comprendi? - Sì, chef. - Ancora. Dimmi. - L’odore del vino è forte. Carne rossa. Vitella. - Ottimo. - Lasciata a macerare per una settimana almeno nel Cannonau di Sardegna, con pepe nero e bacche di ginepro. - Eccellente, ragazzo. Poi? - Poi grigliato sul barbecue. Ma… - Ma? - Ma a carbonella, non a legna. Che peccato, si sente il gusto dell’accendifuoco chimico. Ottimo il Grana e la ruchetta. Perfetta la cottura. - Bene. Cosa vedi? - Vedo l’orrore, chef. Vedo animali allevati in celle, incapaci anche di camminare a causa delle gabbie anguste. Animali coltivati, non allevati, nell’angoscia e nel loro stesso sterco. - La fine? La senti? - Sì, chef. Terribile, ma accettata con sollievo, dopo una vita così. - Paura? - Sì, chef, la paura è il gusto dominante. La macerazione nelle spezie non è riuscita a camuffarla neppure un po’. - Bene. Quindi? - Stesso vino, chef. Cannonau. Primo perché non si mischiano i vini, secondo perché rafforzare il gusto del vino aiuta a soffocare quel gusto di paura. - Eccellente. Bevi un po’ d’acqua e prenditi un momento, prima di continuare. - Sono pronto, chef. - Bene. Annusa. - Aroma dolciastro, sicuramente carne rossa. Cavallo, direi. - Non mi fare incazzare. Il condizionale non esiste nel nostro lavoro. Né esistono approssimazione o avventatezza. Se non sei sicuro che quella che stai per dire è la verità devi tacere. - Mi scusi chef. - Non scusarti. Ora assaggia. Cosa senti? - Aglio, forte. E peperoncino Habanero. Ottima combinazione col dolce della carne. - Allora… cavallo? - No, chef. - Dimmi perché no. - Niente fieno, o avena. - Cosa senti? - Latte. - Latte? Concentrati. - Latte e caffè. Cappuccino. Zucchero. Lievito, burro… forse cornetto. - Forse? - No, chef. Sicuramente. - Bene. - Della morte? Che mi dici? - Inaspettata. Niente paura. Niente dolore. - Certo, nessun dolore. Non avrei mai potuto farti questo affronto, lo comprendi? - Lo comprendo, chef… - Lo comprendi… però? - Però… perché Anna? - Perché Anna. Bravo. Rispondi tu. - Io… - Tu cosa? Non saranno lacrime quelle che bagnano la benda, vero? - No chef. È sudore. - Sudore… ti voglio credere. Perché Anna. Perché in quello che facciamo noi non c’è spazio per una compagna. Le donne tirano fuori il meglio o il peggio di noi. E se tirassero fuori il meglio come potremmo fare quel che facciamo? Dimmi… - Non potremmo, chef. - E se tirassero fuori il peggio di noi? - Lo attirerebbero su di loro, chef. - Bravo, ragazzo. Sono sempre più convinto di aver scelto bene il mio erede. Ma c’è dell’altro. Siamo dei volgari assassini? - Certo che no, chef. - No, infatti. Il punto non è uccidere, è la conservazione, la stagionatura, la cucina, la presentazione, gli accostamenti… Comprendi? - Comprendo, chef. - Con molta attenzione potresti sfuggire per anni alle migliori polizie del mondo. Ma una moglie… prima o poi ti scoprirebbe, e cosa dovresti fare, allora? - Ucciderla. - Già. Ma non è bello uccidere la propria moglie, ragazzo, io lo so. - Grazie chef. - Prego ragazzo. Sono molto orgoglioso di te. Saresti il migliore, nel nostro campo, se non ci fossi io. E lo sarai quando non ci sarò più. Sei il figlio che non ho potuto avere. - Grazie chef. - Bene. Ora dimmi l’ultima cosa che voglio sentirmi dire da te.
- Nero D’Avola. |
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