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al testo di Dereck Louvrilanm
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Al Santo giova l’idea del paradiso fatto a piedi. La sua fede proclama i sandali aerei. Le piante gli urlano contro tinte a ripetizione. In me gira voce che non propriamente il bianco sia simbolo della purezza: non esiste, o è mera radiazione evoluta a colore. Coltivo un sintomo di speranza nel verde, rosso, giallo: dimmi tu quale altro viene meglio di quegli altri che si alzano da terra con indubbia frequenza. So che l’arcobaleno è una prospettiva festosa dello spettro che appare roso. Roso è dovuto alla goccia che degrada il sereno. Il sereno fiorito nell’alba in quanto speranza? Rosa. Rosa è delle piante che non conoscono il grigiore e chiudono la notte il loro corsivo elegante. Insomma, stretti fino al sole. Ma al Santo giova l’abito da sera e sostiene da sole luna e l’altra opera della fede: la credenza vuota. Prega che abbia un senno almeno il satellite. Non l’estro luminescente, ma lo spirito è un labirinto privo di segnaletica e lui, sul precipizio dei feretri, crede nella parola a stento quanto la campanula al verde: musica in censo. Chiedo al ministero dei canonici, alle bugie ferrate ed alla confraternita delle candele almeno un lumino per il Santo Fumino di cui sopra il paradiso a venire che non richiede altra fede oltre l’alare, l’attizzatoio, la semplicità del cerino, il soffio oltre il costato e la fiamma a perdifumo. Inoltre, l’inverno è fuori di sè, geloso non più di tanto perché dentro cova un fuoco insperato: cambiare consonante con una effe di legno, presa di sana pianta da una selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinovi il vero contenuto.
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