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Colpo di scena nella serale ora.
L’Italia s’è desta alla buon’ora?

Il nano più non sghignazza, ammutolito tace,
da giorni più non starnazza.
Ad Arcore,
alla faraonica villa tutto sprangato,
altrimenti col giramento di eliche
in Olanda sarebbe volato!

Prima il ventennale ardore
l’assolo di trombone,
ora il silenzio della sconfitta
del povero fanfarone.

I proclami, le chiassate
le favole risibili del contratto con gli italiani
dimenticati in soffitta.

Nella sera il “coupe de théatre”
il misero buffone non si dà ragione, nè pace.

E dal traballante trono
il pesante deretano in terra batte,
leva le scarpette col tacco e va a mettersi le ciabatte.

Povero Grande Puffo,
oltraggiato e beffato!
Seduto in terra vieppù risibile e buffo,
il popolo è irriconoscente ed ingrato!

Eccoci qui
come trent’anni fa.

La stessa audacia e idealità d’allora.

Solo qualche ruga in più,
qualche illusione in meno
l’amaro disincanto il nostro sguardo logora,
mentre in fila si scende al capolinea dal treno.

Il nostro passo silenzioso
sul selciato
di rugiada ammantato
nel primo mattino.

A milioni,
anonimi.
schivi,
discreti,
i visi onesti dell’Italia che lavora
le mani candide, determinate
che di lottare per i diritti non smettono un’ora
e di passione s’accendono ancora.

Il nostro incedere veloce
risoluto
in agili falcate.

A piedi,
in bicicletta
col tram
in treno,
correndo
oppure quieti e senza fretta.

Ci avevano propagandato a reti unificate:
“Andate al mare,
o lassù sui monti.
Tacete, guardate il grande fratello
nella celluloide soffocate il vostro orizzonte,
asfissiate il cervello!
Lasciate perdere i seggi!”.

E il popolo sovrano
d’improvviso si stancò di beffe, raggiri e dileggi
e librò liberi i pensieri in volo
oltre l’orizzonte lontano.

A milioni
tutti a votare,
e pazienza, in altri giorni,
s’andrà in montagna o al mare.

Non sudditi
ma cittadini
titolari di diritti
a dipingere di nuovi, brillanti colori
ed aria pura i freschi radiosi mattini.

Un popolo assopito
che si desta
e torna a decidere e a contare.

Sotto braccio il giornale
la sigaretta accesa,
nella quiete d’una domenica irreale
la vittoria del domani
alle nostre azioni in trepidante attesa.

Expedit!
Veni, vidi, vici.

E l’alta marea del libero pensiero
del dissenso critico
silente
ma inarrestabile sale
e il servilismo ipocrita sommerge.

Rieccoci
come negli anni settanta
alla Stazione Centrale
o a Roma Termini
il fiume democratico della dignità
e della consapevolezza
che attraversava le città
nel carminio corteo
il giorno dello sciopero generale.

Rieccoci,
oggi come allora,
allegre e vivaci le nostre voci
sorridenti i nostri visi nel riverbero ondoso
del fiume in piena
della riscossa morale e civile che dilaga.

In alto sempre le bandiere scarlatte
il vessillo della rinascita color porpora
sulle nostre gambe
cammina più spedito e ardito ancora.

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