A mio figlio Non come porti pane a casa benedetto o accidentato ma come vivo sai il respiro
capace di distinguere un segnale di sopravvivenza da un rumore come rischio dov'è il cuore, sai al centro del dolore che non fa paura del futuro piangere ballando al buio con la pace la montagna ...la mia Jebel ti mostro la portata d'acqua i suoi colori lungo il perimetro dei fianchi circondata da due fiumi una segesta abbandonata a 36 colonne- nello scrigno morbida roccia incompiuta vita niente del suo splendore più colpisce il semicerchio vuoto nel Teatro il donativo del paesaggio toglie il fiato quasi a morte nel tuo sguardo. dov’è il mare alimenta il mio pensiero mentre scendo tengo il filo del fondale. fino al fondo ondeggia sulla prateria la posidonia coi suoi capelli d'oro silenziosa l’ossigeno di un peso troppo grande dentro gli occhi delle anfore perdute con le mani sulle alghe ti racconto come levarti dalla solitudine -che avresti giocato in paradiso. "Sì anche lì viene la neve " ti rispondevo Risalgo le domande sulle dita le acque strette erano il tuo viso impresso c'è quel nome- figlio mio- già illeggibile al mare che ti chiude infinitamente tacito
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Leonora Lusin
- 22/10/2013 13:54:00
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Amina non ho parole in questo momento ma questa tua mi è piaciuta tanto. Di cuore.
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Angelo
- 22/10/2013 11:33:00
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bella musica. inevitabile. amara ed aspra quanto dolce
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amina narimi
- 21/10/2013 23:41:00
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Grazie Poetamio..grazie Nando
Cristina ancora unavoltasempre le Tue parole sono una tavola smeraldina, sì, il segnale batte vivo da laggiù si può distinguere da un rumore: è di dolore, è gioia- una madre SegestAntica che non ha più favole reali se la raggiungi è solo pelle ritirata nel profondo ma da lassù avrai la vista dritto il mare fino in fondo alle anfore, sarà toccarle con le mani, sui capelli ripetere la favola, un cerchio che chiude la Passione una gioia troppo forte un dolore troppo grande che va fiera di portare fino a compimento del silenzio Grazie Cristina, sei al cuore e preziosa donna, sempre
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Cristina Bizzarri
- 20/10/2013 19:08:00
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Comè difficile lingresso in questo tuo tempio di una città dimenticata, Amina. Comè difficile capire quel "come vivo". Comè difficile sapere "al centro del dolore/che non fa paura del futuro/piangere". E poi tutta la portata dacqua, e poi "il semicerchio vuoto del teatro" che non è più colpito da niente di un antico splendore. E "dov’è il mare/alimenta il mio pensiero mentre scendo/ tengo il filo del fondale". E ancora "la posidonia/ coi suoi capelli doro silenziosa/ l’ossigeno di un peso troppo grande/ dentro gli occhi delle anfore perdute" - lo subisce, troppo grande il peso - lossigeno. ma se "le acque strette erano il tuo viso/ impresso cè quel nome- figlio mio-" , ecco: è "già illeggibile/al mare che ti chiude/infinitamente tacito".
Cosa dire della tua poesia? Io posso dire solo questo: riuscire a vedere quello che "qui" non è visibile, forse non è un viaggio impossibile - per chi fa del dolore un passaggio verso qualcosa che è ben oltre il qui, ben oltre noi. Per chi ha questo coraggio e questo amore.
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Nando
- 20/10/2013 16:20:00
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Iuna poesia che affonda nella carne, che chiama a ripetute letture, che attende dal lettore una solidarietà esistenziale, ancor prima e oltre ogni analitica testuale comprensione.
Ciao, Amina. Molto bella.
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