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al testo di Emanuele Di Marco
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(2-11-1975 / 2-11-2008. In ricordo di Pier Paolo Pasolini.)
Mezzanotte è a stento passata; l’aria è fredda, il vento soffia sul tuo corpo ancora ardente di sangue. Ti sono vicino, da sempre; anche ora che la tua macchina è appena scappata e che qui nel buio sei solo. L’una, le due. La brezza fredda del mare ti asciuga sugli abiti il sangue, incrosta il tuo volto devastato, le labbra che poco prima hanno urlato la madre. Tutto è fermo: non sento nemmeno le onde del mare vicino; neppure più il battito di cuori in tumulto, di chi ha visto e sentito e non parlerà, né ora, né mai. Le tre, poi le quattro, le cinque. Ho in grembo la tua povera testa, accarezzo intrisi i radi capelli, chiudo, lento, l’occhio sconvolto; con gesto veloce riaccosto i lembi dei tuoi pantaloni che altri hanno, impudicamente, slacciato. Sono qui a vegliare il tuo corpo, mentre tu sei, spero, chissà dove. Già, chissà dove… Le sei. Non arriva nessuno nell’alba, calcinata, del triste giorno festivo: no, anzi, una donna, una piccola donna, ancora lontana. Fra poco inizierà l’immonda commedia. Paolo, un’ultima carezza veloce sulla bocca che più non grida, ma , nemmeno, ahimè, parlerà. Me ne vado, scompaio su, in alto. Stavolta, per sempre. |
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