Dimmi, dimmi sorvolando la caduta - come battere talloni d'ali a invettarsi in nicchia di spirale - dimmi: quando la fuga guarda nel pianoro, le palpebre due bende (lo sappiamo) su fuochi spenti da pietà.
È sempre più perduto - o forse in calpestati gigli ritrovato - l'eterno
quell'amore masticato in poltiglia così troppo dolce per uccidere - o guarire.
Resta nell'amplificarsi del respiro che gli organi attraversa come colomba che raccoglie minuscole umide fronde- poi raduna.
Così riparo e così distanza - solo quello che permette cielo fin dove sei -
fin dove si apre il vento.
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Aprile Guglielmo
- 17/01/2013 20:21:00
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mi fa pensare a quello che proverebbe un falco al suo primo salto da una rupe: langoscia dello spazio sotto di lui si tramuta in vertigine, e questa lo solleva, in una incosciente ebbrezza, dimentico del peso del proprio corpo
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Vlad
- 12/01/2013 18:42:00
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prima, leggerti era un piacere. ora un bisogno.
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Maria Musik
- 12/01/2013 08:08:00
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Quel "Dimmi, dimmi...", quasi un accorato ordine, un bisogno senza punto di domanda, che già è risposta eppure si conferma nel ritornare ad "ascoltare" la narrazione del volo sulla caduta.
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Loredana Savelli
- 11/01/2013 18:01:00
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Molte tue poesie sono meditazioni "en plein air": vento, respiro, profumo di trascendenza. Ma le palpebre, la pietà, lamore "masticato" stanno a dimostrare anche una forte "terrestrità". Così leggo. Ciao Cristina!
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Emilio Capaccio
- 11/01/2013 17:42:00
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Un inno sulle ali del vento, o meglio in sospensione sul vento, a precipizio nellanima.
Ciao Cristina.
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