c'è sempre la sorpresa che altri siano già svegli, già in strada, producano rumori da affanno quotidiano prima ancora di me, senza di me che vagheggio di albe pristine e solitarie su un qualche cliff che precipiti nel mare. in piedi, il vento che schiaffeggia la gonna, i capelli un nero groviglio intorno al viso affilato, non mio, eppure in qualche modo strano appartenente a me che lo immagino. così quando sale fin qui il rumore dell'autobus o lo stridio di qualche macchina vecchia e stanca di vivere quando sale fino al settimo piano del mio personale abisso, sgrano gli occhi nocciola dal centro nero, li sgrano fin quanto consentono le cicatrici dell'iride, e mi chiedo chi siano, chi siano questi esseri marini che si moltiplicano col passare dei minuti, finché la luce non li riconduce alla loro realtà di lamiere e motori, pneumatici, claxon ancora timidi prima dello scatenarsi della furia del giorno.
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