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al testo di Piero Passaro
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Cerchi continui negli insiemi di persone. Osservo la circonferenza, il raggio, il diametro occupati da individui. La ricerca si pone nell'armonia delle bocche, nell'armonia delle movenze di queste persone. Mentre mi passano vicino intuisco il loro deforme spostamento; mentre scambio con loro lo sguardo ho già in mente l'angolazione che le pupille e le palpebre prendono evitando lo sguardo. Il problema principale è lo "stare". Esserci. Occupare quello spazio materico che l'esistenza ci ha consegnato gravandoci di questo. Avere nella mano un drink poi, è un altro problema contemplativo, tutti lo fanno e nessuno sa come. La festa prosegue ed io ancora oscillo terribilmente sulle considerazioni dei corpi che si agitano; ammassi di carne inconsapevoli o fuochi fatui che si agitano mescolandosi alla vita? La domanda davvero mi attanaglia anche se offro da bere alla festeggiata, mi piace davvero - penso - ma è meschinità. Perchè alla fine sono interessato al rimando di un'idea perchè il rimando non deve porsi il problema dello "stare". Com'è possibile non amare quello che semplicemente "c'è" senza che lo "stare" lo inguatti? La mia folle ricerca del giusto contesto dev'essere il giusto armistizio tra la goliardica ed edonistica foga immotivata della situazione particolare e il tremendo rintoccare dell'inadeguatezza per ogni momento ed ogni cosa. Quel calore che mi faceva capire io non lo sento più; forse ha a che fare con l'uomo bendato che ho visto allo specchio l'altra mattina in bagno: "stai parlando a te stesso" mi ripeteva.
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