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al testo di Piero Passaro
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Ho visto la fine del cielo mentre impegnavo un pensiero; una soffusione tanto carismatica di una tonalità di rosso ha poi colpito il tramonto. Il pensiero era destinato a qualcosa di fugace e futile; quel colore metamèrico, invece, è sempre stato lì ma nessuno lo ha mai visto.
La strada per casa era colma di posticce macchie rosa, una colonna affezionata all'infinito grigia e qualche alto, vecchio, tetto che cerca di sfuggire in verticale con rossastri baluardi. Questi attici coi loro colori e la loro altezza sono sempre stati lì ma nessuno li hai mai osservati. Qui, ora, dinnanzi allo schermo sto cercando di ricordare un ricordo che non mi appartiene, come queste riflessioni coloripatiche che così tanto deformano come osservo e cosa osservo. Ricordi, che come chiodi roventi esplodono in un'emicrania poco gentile. Un uomo ossessionato dai mezzi iper-presenti di oggi, ossessionato da una folle ricerca di evoluzione individuale di massa. Il paradosso lo attanaglia. Una ragazza alienata ed una festa di compleanno, con rimasugli di dolore da ebrezza mai superata di una domenica mattina. La folle volontà di partecipazione anticipata da un'incapacità di confrontarsi. Apprendo davanti allo specchio il motivo di queste invasioni innestate. Ppoco dopo faccio un sogno ricorrente che non ho mai fatto: una persona che non ha volto allo specchio mi dice che quei ricordi non sono miei ma di visi che mi sono appartenuti. Se io sono cambiato e non ero chi sono, cosa devo fare adesso? Qualunque cambiamento e presa di coscienza delle mie azioni non verrebbe notata da alcuna persona. Ero io e poi non lo ero più ma nessuno mi ha mai guardato con quella camicia a quadretti blu cobalto. |
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