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al testo di Piero Passaro
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Il racconto contemporaneo dei temi sociali di questi anni si presta sempre più nella cinematografia italiana. La violenza domestica, legata politicamente ai femminicidi e in diretta conseguenza al femminismo, risulta sempre polarizzante nelle discussioni dei film che risentono del politically correct. Una storia nera, di Leonardo D’Agostini, è un crocevia di due fenomeni; il primo dimostra come il tema sociale sopra discusso non venga meno di importanza e rilevanza nella delicata scelta di un’opera seconda di una giovane leva registica come D’Agostini; il secondo, invece è prosieguo dell’esperimento ormai rodato dei film marchiati Groenlandia, sotto la guida di Rovere.
Se esperimenti come Il primo re (2019, Rovere), Come pecore in mezzo ai lupi (2023, Patitucci), Settembre (2022, Steigerwalt),The Hanging Sun (2022, Carrozzini) e Il campione (dello stesso D’Agostini, al suo esordio) hanno proposto una produzione che mira a ri-codificare il cinema dei generi su modelli cinematografici stranieri, (spesso statunitense) - adattandolo alla messa in scena, tempi e modalità del cinema nostrano , “una storia nera” ripropone questa formulazione cinematografica, ed anzi vuole non solo rimpolpare i generi con tendenze straniere ma proporsi come interlocutore diretto nel cinema di riflessione sociale a cui, in principio di questa sede, si accennava. D’Agostini, con il marchio Groenlandia, interloquisce con il cinema nazionale in primis alle similitudini con il fortunato C’è ancora domani della Cortellesi, confermando il trend di discussione della femina causa.
Una moltitudine di temi, toni drammatici e stampo da trial movie, possono essere ricondotti anche ad Anatomia di una caduta (2023, Triet) confermando come il film voglia esplicitamente alzare la mano per dire la sua nell’odierno dibattito cinematografico. Anche la scritturazione della Casta nei panni della protagonista Carla, donna vittima e carnefice; la presenza del personaggio Alaimo, PM interpretata da Cristiana dell’Anna; Claudia Della Seta nei panni del giudice del processo per non parlare della presenza scenicamente ingombrante della sorella del marito violento (Licia Maglietta). D’Agostini aderisce all’odierna iper-presenza femminile sullo schermo.
La missione politica si percepisce dal “punto di vista di onestà della forma cinematografica”; la messa in scena scenografica (Peng) piena di riflessi e specchi in molte inquadrature, i movimenti di cinepresa oggettivi, la fotografia a tratti chiaroscurale ai limiti delle regole di noir-lighting (Paradisi) possono confermare l’estetica matura di un autore giovane come D’Agostini. Anche la musica del film interagisce fortemente, come gli stessi autori Ratchev e Carratello affermano: “La musica che abbiamo realizzato per Una storia nera prova a raccontare quello che si nasconde nei personaggi, nei loro pensieri, nelle loro intenzioni: la follia della violenza, lo sgomento e la paura, la vergogna e il coraggio, connettendosi con quanto vediamo rappresentato nelle immagini ed espresso nei dialoghi. Musicalmente è stato entusiasmante”.
Esattamente come in C’è ancora domani della Cortellesi - in cui erano Mastandrea e la Cortellesi stessa- , il cuore fondante della vicenda narrata, la causa-effetto o ancora, l’evento che dall’ordinario ci pone nello straordinario, è la relazione della coppia Carla e Nicola (De Piano) riflessa nel rapporto dei figli Rosa e Nicola (rispettivamente Gavino e il feticcio Carpenzano, riconfermato dopo l’esordio efficace ne Il Campione. La similitudine con il film della Cortellesi eredita anche un cattivo difetto di scrittura e sceneggiatura: la bidimensionalità del personaggio maschile. L’orco cattivo immaginario cronachistico che non attecchisce cinematograficamente: quali sono le sue sfumature? Qual è il background psicologico? Sono domande che chi scrive si è posto energicamente, soprattutto in considerazione del finale pseudo-cliffhanger dal gusto noir. |
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